Da rito tribale a simbolo di ribellione, da marchio di malavitosi a moda normalizzata. I tatuaggi hanno letteralmente ricoperto diversi ruoli nella storia. Nel libro “Storia sociale dei tatuaggi” l’antropologa Alessandra Castellani ricostruisce il percorso del marchio indelebile sulla pelle.
Tatuaggio: come si è ribaltata la situazione
Utilizzato dai guerrieri di diverse tribù per spaventare il nemico fin da tempi antichi, oppure segno distintivo della Yakuza, la mafia giapponese, o altre forme di criminalità organizzata. Simbolo di ribellione del movimento punk negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, fino ad oggi, dove è diventato una pratica accettata socialmente, normalizzata e alla moda.
Nel corso della storia il tatuaggio ha ricoperto diversi ruoli e ha rappresentato differenti significati. Un’epopea che comincia nella preistoria ed arriva fino ai giorni nostri, fotografata dall’antropologa Alessandra Castellani, autrice del libro “Storia sociale dei tatuaggi“, edito da Donzelli.
Intervenuta nella recente ottava edizione del Festival di Internazionale, l’antropologa ha illustrato al pubblico il suo lavoro che racconta come quello che fino a non molti decenni fa era considerato un “marchio deprecabile”, si sia trasformato in moda e in espressione soggettiva di stile.
L’origine della pratica di incisione sulla carne era assai poco praticata in Occidente. Il tatuaggio compare per la prima volta nel nostro mondo nei diari di James Cook, che usa il termine “tattoo” di ritorno dal suo primo viaggio nei mari del Sud. Il termine è onomatopeico e deriva dal rumore (“tau tau”) degli strumenti utilizzati per praticarlo.
“Sebbene nella storia abbiamo anche tracce di alcuni nobili che si sono tatuati – racconta Castellani ai nostri microfoni – il tatuaggio ha sostanzialmente avuto una considerazione negativa, spesso associato a prostitute e reietti”.
Proprio in virtù del suo alone maledetto, il tatuaggio raggiunge una notevole popolarità con la scena punk a metà degli anni ’70 del secolo scorso, quando comincia a essere praticato e interpretato come una forma simbolica di ribellione.
Dobbiamo arrivare agli anni ’90 per osservare un significativo cambiamento. Il tatuaggio diventa improvvisamente un segno diffuso e “normalizzato”, soprattutto tra i giovani, vissuto senza più nessuna remora di ostracismo. E si trasforma in moda: le incisioni sulla carne sono un’espressione soggettiva di stile. Il fascino della ribellione e delle modifiche del corpo invece trova ora un territorio di ibridizzazione con i mondi queer, in cui si intrecciano nuove forme di ricerca dell’identità e di rappresentazione di sé.