Ripartizione obbligatoria dei richiedenti asilo e multe per i paesi che non rispetteranno il sistema di quote deciso da Bruxelles. Mentre dal Parlamento europeo risuona l’appello di Jean Claude Juncker agli Stati membri, al confine tra Ungheria e Serbia la situazione è sempre più difficile e la polizia dà la caccia ai migranti nelle foreste. Il racconto degli attivisti di Làbas di ritorno da Rozske.
Juncker e il piano di ripartizione obbligatoria per i profughi
Jean Claude Juncker, presidente della Commissione europea, ha tenuto oggi il discorso sullo Stato dell’Unione, sottolineando come sia “giunto il momento di passare all’azione per gestire la crisi dei rifugiati”. Difficile non essere d’accordo con Juncker quando afferma che “la nostra Ue non versa in buone condizioni, manca l’Unione e manca l’Europa“, e che “sino a quando ci sarà la guerra, nessun muro, nessuna barriera fermerà questa massa di rifugiati”. Una presa di coscienza quanto mai tardiva, rispetto alla quale l’Ue si trova ora a dover fare i conti.
Per affrontare la situazione dei migranti in Europa, Juncker ha annunciato un piano di ripartizione obbligatoria di 160mila profughi tra i paesi dell’Unione Europea, in base a un sistema di quote. Sono inoltre previste multe per i paesi che non rispetteranno la direttiva. Il nuovo piano, così come quello presentato lo scorso giugno per ricollocare 40mila migranti, ancora una volta prende in considerazione numeri che sono molto lontani rispetto alla realtà. Senza contare che affronta il problema considerando unicamente “i migranti come dei numeri da spartirsi“, come spiegava Giorgio Grappi ai nostri microfoni, e non come una crisi umanitaria da prendere di petto per far sì che chi fugge dalla guerra, dal terrorismo, e dalle dittature, possa trovare accoglienza sicura e non campi di detenzione.
Il piano di ripartizione, anticipato già dai mezzi di informazione negli scorsi giorni, ha subito trovato l’opposizione di alcuni paesi, soprattutto dell’Europa orientale, che già a luglio si erano messi di traverso alla richiesta di rendere le quote obbligatorie. È il caso di Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Romania, che giudicano inaccettabile un sistema di ripartizione permanente, ma soprattutto dell’Ungheria, il cui governo guidato da Viktor Orban è impegnato in questi giorni ad accelerare la costruzione del muro anti-migranti al confine con la Serbia.
Una zona, quella del sud dell’Ungheria al confine con la Serbia, in cui negli ultimi giorni la situazione si è fatta sempre più complicata. Un lembo di terra in cui i diritti umani sembrano essere sospesi, e le persone vengono trattenute in campi profughi improvvisati privi di qualunque tipo di servizio. In centinaia hanno tentato in tutti i modi di superare i blocchi della polizia, per fuggire verso Budapest, e non sono mancati gli scontri. C’è chi si è messo in cammino a piedi, lungo l’autostrada o la ferrovia, e chi si è affidato ai trafficanti e ai loro ricatti. Gli agenti battono le foreste per dare la caccia alle persone in fuga, mentre alle stazioni dei bus vengono affissi manifesti che mettono in guardia la popolazione dalle malattie infettive e dal rischio contagio di cui i migranti sarebbero portatori.
“Già lunedì mattina a Rozske si iniziava a respirare un clima di tensione – racconta Francesca Zanoni di Làbas, di ritorno dal viaggio con Detjon e Stefano sulla rotta dei migranti – quando un’ondata di migranti è stata massificata all’interno di un campo profughi già saturo. Situazione peggiorata poi drasticamente fino agli scontri con la polizia che tentava di impedire la fuga delle persone. A Rozske si respira un’aria diversa tra il giorno e la notte: di giorno arrivano i migranti e ci sono i tentativi di registrazione, di notte incomincia la confusione, con la polizia che risponde in modo provocatorio alle persone che chiedono spiegazioni, e spaventati tentano la fuga”.
“Abbiamo visto due facce dei cittadini ungheresi rispetto ai migranti che giungono sul territorio – racconta Francesca – da una parte il razzismo incarnato dal governo ungherese, ben rappresentato da quella giornalista che prende a calci i migranti in fuga, e dall’altra parte scene che non dimenticheremo, di abitanti di Rozske che depistano la polizia che chiede loro informazioni sui profughi che scappano dai campi di detenzione”.