Le fascinazioni dei loop per sax di Klaus Gesing, le invenzioni scandinave degli Atomic, la sonorità e il fraseggio di Joshua Redman caratterizzano il cin cin finale di un festival ben riuscito.

La location di domenica mattina ci accoglie con i colori incendiati dell’autunno. Sul palco Klaus Gesing, saxofonista/clarinettista tedesco che ama esibirsi in solo accompagnato dai riff del suo computer. Una strada antica, aperta già negli anni ’60 dalle sovraincisioni di John Surman e delle sue saghe nord europee. L’alchimia si rinnova con questo tecnologizzato artista dotato di un ottima intonazione  strumentale adattissima a creare quelle evocazioni impalpabili che rendono il set sognante ed estremamente comunicativo. Grazie alla costruzione progressiva dei brani  con i loop registrati live e tra loro sovrapposti, al pubblico sembra assistere alla nascita dei pezzi dove la linea melodica si aggiunge a quella ritmica precedentemente dettata dalla note gravi del clarinetto basso, mentre il soprano vola con gli assoli sul materiale in sequenza. L’operazione sortisce l’effetto cercato e si conquista applausi per niente di maniera. Alla luce dell’attuale normalità della manipolazione dei suoni, come sembrano lontane le accuse al grande Lennie Tristano del mitico Turckish Mambo di avere barato in studio per moltiplicare abusivamente le dita sulla tastiera e frodare l’ingenuo ascoltatore: a distanza di quasi mezzo secolo quell’operazione rivendica tutta la sua lungimiranza creativa e il coraggio compositivo!

Nel pomeriggio entriamo nella cantina Kleber dove ci aspettano gli Atomic del sax di Fredrik Ljungkvist a capo di un gruppo nutrito  da quella generazione scandinava che già si era manifestata clamorosamente a Saalfelden con gli Angle 10. Qui a Cormons gli “angoli” sono 5: oltre a Ljungkvist si segnalano Håvard Wiik al piano – Ingebrigt Håker Flaten al basso – Paal Nilssen-Lovealla batteria e Magnus Broo alla tromba (forse il musicista più conosciuto). Il sound proposto e grintoso, ricco di momenti di improvvisazione radicale alternata a costruzioni musicali più definite e sorprendenti, ben commentate dalla capacità solistica dei singoli elementi, in particolare la tastiera di Håvard Wiik. Il brano conclusivo, dalla cadenza alla happy fool colemaniano, sigla un set di grande qualità per una formazione che solo tardivamente stiamo conoscendo nell’Europa meridionale.

L’addio al festival viene assegnato come di consueto al gran nome di turno, quest’anno individuato in quel Joshua Redman riconosciuto come campione del sax tenore. Il musicista non smentisce affatto tale nomea, anzi si mostra ancora una volta come un incredibile cesellatore di suoni, grazie al suo fraseggio raffinatissimo sia sui tempi veloci, che nei middle bounds, che nelle ballads. Forse è il gruppo che lo accompagna che fatica a stare alla pari di tanta capacità e, magari, Joshua lascia ai suoi partners troppo spazio nel set. Uno spettacolo dunque che rinnova le scelte “classiche” d’hard bop di Redman, mostra un solista di grande qualità, assicura un successo clamoroso per il fine festival. Bingo! Forse a qualcuno sorge repentino un pizzico di malinconia pensando quanto potrebbe fare un così dotato artista inserito in un più corposo contesto, quale il miracoloso incontro di Redman con il trio dei Bad Plus: eventi memorabili che accontentano tutti, dalle nonne ai nipotini.

Il bilancio del Jazz&Wine 2013? Ottimo vino, musica notevole, colori maestosi d’autunno.

Se il saggio affermò che l’arte era la copia della copia, tra i paesaggi delle colline circostanti e la musica ascoltata, potremmo congratularci con l’ottima carta carbone… Ma questi sono pensieri di chi ha un po’ troppo alzato il calice. Prosit per tutti ed arrivederci all’anno prossimo.

Ascolta in sequenza brani dei concerti di Klaus Gesing, Atomic e Joshua Redman