La classe dirigente italiana, a partire dagli anni ’70, ha puntato sulla rendita invece che sull’innovazione e questo è la causa del declino attuale. Lo sostiene l’economista Emanuele Felice, autore del libro “Ascesa e declino. Storia economica d’Italia” (Il Mulino), che verrà presentato lunedì 8 febbraio all’Archiginnasio.
Dopo il boom economico del secondo dopoguerra, le classi dirigenti italiane hanno puntato sulla rendita, giocando con la svalutazione della lira e con l’accumulazione del debito, invece di puntare sull’innovazione e sulla ricerca e questo è la causa dell’attuale declino del nostro Paese.
Lo sostiene l’economista Emanuele Felice, autore del libro “Ascesa e declino. Storia economica d’Italia” (Il Mulino), che verrà presentato lunedì prossimo, 8 febbraio, all’Archiginnasio di Bologna, in un’iniziativa promossa dall’associazione Pandora.
Nel suo saggio, Felice analizza la storia economica d’Italia, partendo dall’antica Roma, passando per il Rinascimento e giungendo fino ai giorni nostri, ma concentrandosi soprattutto sui 150 anni di unità d’Italia.
Una storia fatta di alternanza tra ascese e declini, che rendono l’Italia un Paese peculiare, più volte al centro dell’economia mondiale nel corso della storia.
Sia nella buona che nella cattiva sorte, però, secondo l’economista molto dipende dalle capacità delle classi dirigenti, sia economiche che politiche, che imprimono una direzione e un modello di sviluppo.
Proprio quest’ultimo, secondo Felice, è stato smarrito dalle classi dirigenti degli ultimi quarant’anni, al punto che già negli anni ’70 furono gettate le basi negative per la situazione attuale.
“Io critico la retorica di un modello a bassa innovazione, a basso capitale umano e a bassa istruzione – afferma l’economista ai nostri microfoni – perché su quella strada ci siamo trovati a competere con Paesi in via di sviluppo dove la manodopera costa meno“.
Per contro, si sarebbe dovuto puntare sull’innovazione e la ricerca.
Centrale, nel ragionamento di Felice, è il ruolo dell’istruzione che, come si sa, forma le classi dirigenti, innestando un circolo vizioso.
“È sbagliata anche l’idea dell’ultima riforma della scuola – osserva il docente di economia – secondo la quale ci debba essere alternanza scuola-lavoro. Perché un ragazzo a 17 anni dovrebbe preoccuparsi di fare stage in azienda? Deve preoccuparsi di studiare”.