Era il 16 settembre 2022 quando moriva Mahsa Amini, la giovane curda iraniana arrestata e uccisa dalla polizia morale perché non indossava correttamente il velo. Due giorni fa, in occasione del primo anniversario della morte, in Iran si sono tenute manifestazioni di ricordo della giovane in diverse città, ma non è mancata la repressione delle autorità iraniane, che ha contraddistinto tutte le proteste del movimento “Donna Vita Libertà” che per mesi hanno infuocato il Paese.
Nei giorni scorsi il padre di Mahsa è stato prima arrestato e poi messo ai domiciliari. Una sorte toccata a tutti i parenti della giovane, così come a quelli delle altre vittime della repressione, per impedire che scoppiassero nuovi focolai di protesta.

Donna Vita Libertà, un bilancio delle proteste in Iran ad un anno dalla morte di Mahsa Amini

A un anno di distanza dalla nascita di Donna Vita Libertà, quale bilancio si può trarre del movimento? Quali risultati ha ottenuto e quali invece i limiti e gli ostacoli?
Lo abbiamo chiesto a Giuseppe Acconcia, docente di Geopolitica del Medioriente all’Università di Padova e autore de “Il Grande Iran”.
«Il movimento continua ed è ancora molto sentito dai giovani e dalle giovani iraniane – sottolinea Acconcia ai nostri microfoni – Ricordiamo che ha una doppia anima. Da un lato le protagoniste sono le donne che hanno protestato per i propri diritti e contro l’obbligo di indossare il velo, dall’altro le persone scendono in piazza per i diritti delle minoranze, in particolare quella curda, che è discriminata da oltre quarant’anni».

Ad accompagnare le proteste del movimento, durate mesi, c’è stata una fortissima repressione delle autorità, con oltre 500 morti in piazza, ma anche migliaia di prigionieri politici, sentenze di condanne a morte e episodi di avvelenamento delle ragazze per impedire loro di partecipare alle manifestazioni.
Dunque un ostacolo fortissimo che Donna Vita Libertà ha incontrato è stato quello della violenza delle autorità, che però non paiono essere riuscite a domare completamente le proteste.

Tra i risultati parziali ottenuti c’è proprio la questione del velo. Molte donne iraniane hanno cominciato a girare per le strade senza indossarlo e senza essere fermate dalla polizia morale, almeno fino al 16 luglio, quando sono stati imposti nuovi obblighi stringenti.
Al tempo stesso, l’eco delle proteste iraniane è arrivato a livello globale, con le donne della diaspora iraniana che hanno dato vita a mobiliazioni internazionali e sono riuscite a generare un sentimento contrario alla Repubblica Islamica. E il mondo dello sport e dell’arte, in particolare con sportive e attrici iraniane, ha apertamente sostenuto le proteste.

Per contro, rispetto alla rivoluzione del 1979, il movimento non si è sufficientemente garantito il sostegno dei lavoratori di diversi settori produttivi e si è sviluppato in un contesto politico sfavorevole. «L’Iran non ha avuto un sostegno internazionale adeguato che potesse portare a un successo più diffuso di queste proteste – sottolinea Acconcia – Eppure l’Iran è uno dei Paesi che più ha sostenuto Mosca con la fornitura di droni utilizzati nella guerra in Ucraina, quindi c’erano gli elementi per avere una posizione più incisiva rispetto alle autorità iraniane. Inoltre l’Iran ha diminuito l’arricchimento dell’uranio e ora di parla di un possibile ritorno dell’accordo sul nucleare».

In ogni caso, per il docente, il rapporto tra Stato e società in Iran è cambiato dopo le proteste del 2022-2023. Ora toccherà vedere se i giovani e le giovani saranno ancora disposti a continuare a morire e a subire le violenze delle autorità iraniane.
«Evidentemente il segno è che questo movimento continuerà e i giovani iraniani continueranno a rinnovare il loro repertorio di contestazioni per ottenere tutti gli obiettivi di uguaglianza e di diritti che si erano prefissati già prima di queste ultime proteste, a partire da quelle del 1999».

ASCOLTA L’INTERVISTA A GIUSEPPE ACCONCIA: