I titoli allarmistici dei quotidiani e le dichiarazioni roboanti dei leader politici occidentali in merito all’attacco dell’Iran a Israele a suon di droni e missici balistici assomiglia molto a un gioco delle parti.
L’attacco iraniano, infatti, è stato volutamente “telefonato”, con Teheran che ha avvisato tutti, inclusi gli Stati Uniti, di quella che sarebbe stata l’operazione militare, dando modo ai sistemi d’arma americani e israeliani di prepararsi e neutralizzare il 99% degli attacchi.

La “vendetta telefonata” dell’Iran e la strategia di Netanyahu e Israele

«È stata una risposta più politica che militare», sottolinea ai nostri microfoni Laura Guazzone, docente di Storia contemporanea del mondo arabo all’Università La Sapienza di Roma. In altre parole, Teheran ha reagito in modo piuttosto moderato alla strage compiuta dall’esercito israeliano nel consolato iraniano in Siria lo scorso 2 aprile, quando vennero uccise 11 persone, tra cui il generale Mohammad Reza Zahedi e il suo vice.
«L’Iran non ha interesse ad allargare il conflitto alla regione», sottolinea Guazzone.

La tensione odierna tra Iran e Israele va inserita in un quadro più complessivo e non comincia certamente oggi. «Dopo la caduta dell’Iraq nel 2003 – spiega la docente – l’Iran è rimasto l’unico Paese del Medio Oriente a rappresentare un ostacolo agli interessi israeliani e americani».
È per questo che da anni ormai viene condotta una sorta di guerra a bassa intensità, fatta di piccoli attacchi, provocazioni e azioni dei servizi segreti, che nella maggioranza dei casi non raggiungono nemmeno le prime pagine dei quotidiani occidentali.

L’attacco israeliano del 2 aprile ai danni di Teheran, quindi, va considerato come un tassello di un’escalation che il governo di estrema destra guidato da Benjamin Netanyahu sta tentando per varie ragioni.
Allargando il conflitto da Gaza alla regione, in particolare, Israele conta di compattare a sè gli Stati Uniti (e il resto dell’Occidente), con cui i rapporti si sono sfilacciati proprio a causa delle critiche di Joe Biden alla condotta israeliana a Gaza. «Gli Stati Uniti non hanno interesse ad allargare il conflitto – osserva Guazzone – in questo caso i loro interessi divergono da quelli di Israele».

Nello specifico, inoltre, il premier Netanyahu ha interessi anche personali nel continuare o allargare la guerra, poiché in questo modo può restare al governo e allontanare i guai giudiziari che deve affrontare.
Per capire cosa accadrà nell’immediato futuro, quindi, occorre vedere se e come Israele ha intenzione di rispondere agli attacchi iraniani di sabato scorso. Se la “vendetta” dell’Iran alla strage del 2 aprile è stata “telefonata”, un’eventuale reazione israeliana ben meno diplomatica potrebbe far degenerare la situazione.

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