Delude l’attesa messa in scena, da parte del Teatro Comunale di Bologna, dei Sette peccati capitali di Brecht- Weill accostati a Didone ed Enea di Henry Purcell con la medesima direzione del maestro Marco Angius e la regia di Daniele Abbado. L’orchestra aveva già affrontato, in forma di concerto, in altre occasioni, I sette peccati capitali con la voce della grandissima Ute Lemper ottenendo grande successo al Manzoni. Non soddisfa la resa vocale di Danielle de Niese come Anna I, anche all’esecuzione della partitura orchestrale manca il piglio del Weill prima del bagno hollywoodiano e la parte danzata è elementare e poco interessante per quanto invece la scenografia, costumi e regia si prestassero a un esito più appagante. In Dido and Aeneas spiccano le voci di Maiam Battistelli nel ruolo di Belinda e di Marco Miglietta come I strega. Curata la dinamica regia e le scelte cromatiche tra scene e costumi.
La serata teatrale si apre con “Dido and Aeneas“, opera incompiuta di Henry Purcell di cui non sono giunte a noi le partiture originali. Il Direttore Marco Angius, per ridare vita all’opera, ha deciso di guardare alla musica contemporanea e lavorare non tanto per colmare vuoti, ma per renderli interessanti momenti di reinterpretazione creando qualcosa di sperimentale. La scelta, felice a mio avviso, di Angius è stata quella di utilizzare nei “vuoti” dei Cori di Didone di Luigi Nono su testi del 1958 di Ungaretti e brani di Giacinto Scelsi creando continuità nella partitura poggiandosi a note di basso comuni tra partitura esistente e innesti o unendo immagini presenti nel libretto originale di Nahum Tate e quelle di Ungaretti. L’esito degli innesti, sottolineati da cambi di luci, movimenti di mimi e elementi scenografici, è piacevole e stimolante. Molto coinvolgenti i momenti percussivi metallici di Nono e il lavoro fonico delle voci che creano grande tensione scenica nel momento in cui Enea deve prendere gravi decisioni. Di enorme bellezza il Song di Belinda successivo all’overture in cui Mariam Battistelli incanta letteralmente l’uditorio.
Siamo in un contesto mitologico nella prima parte della serata, dopo la distruzione di Troia, Didone sarà costretta ad accettare l’abbandono di Enea perchè la profezia impone che egli fondi Roma, decretando, come conseguenza, la futura fine di Cartagine. Il divino incide sulle sorti degli umani e nel contesto sociale si apre un dissidio tra individuo e gruppo sociale. Il coro, ovvero il popolo, la corte, ma anche forze del male, streghe, agiscono per distruggere l’onore e la fama di Didone per compiere un più alto piano che prevede che Enea fondi la grande Roma rompendo il legame d’amore con Didone. Il coro di streghe annuncia “Il male è nostra gioia”, l’obiettivo è far piombare Didone nella sventura.
Il regista Daniele Abbado trova e rende esplicito nella rappresentazione un legame tra le streghe e i/le contemporanei/e haters che, nascosti dietro gli schermi di pc e smartphone, agiscono nell’ombra per procurare la caduta di soggetti designati, spesso donne, come Didone, molto in vista, con posizioni di rilievo, sulle quali fanno ricadere calunnie causando dolore e sconforto. Didone regge una città, la governa in modo fruttuoso, eppure il popolo gode dell’idea di distruggerla “La distruzione è il nostro piacere”, cantano e godono, ridendo, come i leoni e le leonesse da tastiera nell’assistere alla caduta di una donna di potere oggi. Il paragone è suggerito, non esplicitato dalla regia, gli unici elementi scenici contemporanei sono i costumi del coro e delle streghe che sembrano abiti da lavoro odierni. Molto curati i movimenti scenici di mimi e di elementi scenici che creano dinamicità, presentano un universo in continuo cambiamento, danno l’idea di una crisi sociale costante, di un’inarrestabile caduta del regno. Molto gradevoli le scelte cromatiche di luci, costumi e pannelli scenici. Delicato ed efficace il canto sommesso del coro alla morte di Didone, grande attenzione è stata posta a tutti i passaggi musicali, i cambi di dinamica, i giochi di variazioni ed echi gli sfalsamenti ritmici creando un ottimo risultato musicale di grande piacevolezza e interesse.
Oltre a Battistelli emergono in Dido and Aeneas anche le voci di Marco Miglietta, I strega, Andrea Giovannini, II strega e marinaio e Paola Valentina Molinari come Spirito mentre i protagonisti, Danielle de Niese, Didone, e Francesco Salvadori, Enea, non brillano nè appassionano se pure de Niese risulta molto più a proprio agio nei panni di Didone che in quelli di Anna I, nella partitura di Weill, e a tratti riesca, come Didone, a trasmettere una sua forza canora.
Meno riuscita da un punto di vista musicale e vocale la seconda parte della serata che personalmente attendevo dall’annuncio del programma della stagione del Comunale Nuveau. Ero entusiasta di poter vedere in forma scenica, finalmente, dopo numerosi ascolti discografici e in forma di concerto, i Sette peccati capitali di Brecht- Weill.
Daniele Abbado ha creato un dispositivo scenico efficace, che, con pochi cambiamenti rispetto alla prima parte del programma, si adattava perfettamente alla rappresentazione del passaggio di Anna I e Anna II da un palcoscenico all’altro, da un genere teatrale/spettacolare all’altro, da una città all’altra dell’America per guadagnare abbastanza da poter comprare una casetta in Luisiana per la propria famiglia. La scena, il piano luci e i costumi insieme potevano costituire le premesse per una ottima performance di teatro musicale. Anche il legame con “Didone ed Enea” in fondo funzionava su una base di parallelismo tra profezie sul futuro e sulla comunanza delle trame delle due pièce di esame del rapporto tra individuo e gruppo sociale, e per la presenza in entrambe di una critica sociale e politica e la possibilità di eplicitare collegamenti con l’oggi. Qualcosa tuttavia non ha funzionato nella messa in scena della partitura di Weill. Vocalmente Danielle de Niese non convice in questo ruolo: la voce risulta sottile, scompare a tratti sulla strumentazione orchestrale, non ha carattere, non arriva come le illustri colleghe che l’hanno preceduta nelle vesti di Anna I. Anche l’orchestra non è abbastanza incisiva, non si ritrova all’ascolto abbastanza Kurt Weill, pur riconoscendone la partitura, manca di qualcosa. Tutto è eseguito in modo troppo patinato e già holliwoodiano, quando questa è una partitura del 1933, precedente alla parziale trasformazione in prodotto di consumo, per quanto di straordinaria fattura, per Hollywood. Assolutamente una delusione è la parte danzata, non all’altezza delle aspettative pensando che si tratta di un balletto cantato, alla cui prima rappresentazione collaborò, in qualità di coreografo ed anche produttore e regista, Balanchine che aveva fondato a Parigi “Les Ballets 1933” e che la commissione a Weill era forse arrivata da Boris Kochno e Edward James (o forse viceversa Weill si avvicinò a loro per produrre I sette peccati capitali) tenendo presente che il primo era stato consigliere di Djagilev ovvero il celebre fondatore dei Ballets Russes e il secondo un mecenate britannico marito della danzatrice Tilly Losch che fu protagonista del balletto cantato accanto alla grande cantante Lotte Lenya. Per i nomi coinvolti nella nascita dei Sette peccati capitali la danza non doveva assolutamente avere un ruolo secondario nel progetto e oggi la rappresentazione in forma scenica meritava un’attenzione maggiore alla parte coreografica, qui affidata a Simona Bucci che risulta povera, elementare, priva di sorprese e interesse. Molto divertente e riuscita invece è la resa della famiglia delle due Anna, sul loro divano, padre, madre e due fratelli sentenziano un mondo di valori rovesciati, rappresentano la vittoria di interessi individualistici e l’asservimento di uomini e donne al profitto. Interpreti della famiglia sono Marco Miglietta, Andrea Giovannini, Nicolò Ceriani e Andrea Concetti bravi, ironici e dissacranti.
Vale la pena di vedere comunque la rappresentazione de I sette peccati capitali, non così frequentemente sui nostri palcoscenici, sarà bello, per chi non la conosce scoprirne la partitura per poi magari andarsi ad ascoltare altre esecuzioni discografiche per confrontarle. Certo è che dal Teatro Comunale di Bologna potevamo aspettarci una cura maggiore di questo titolo proprio per il significato che ha nel panorama della musica della prima metà del ‘900, per l’allargamento del pubblico a quanti amano la musica del secolo passato, poco presente nei repertori operistici, in un ottica di intersezionalità tra i generi, di ibridazione di linguaggi, di possibilità di sperimentazione. Non serviva inserire il titolo nella stagione di danza per investire maggiormente sulla parte coreografica, forse serviva un pensiero più sperimentale per rappresentare il titolo proponendo una nuova indagine contemporanea sul mescolamento degli elementi proposti dai produttori iniziali del lavoro e forse anche musicalmente è mancato il ritrovare il potere spiazzante, innovativo della partitura, normalizzato dalla consuetudine di quelle sonorità nei 91 anni passati dalla sua prima esecuzione.
Repliche 19 e 21 marzo. Biglietti da 15 a 100 euro in vendita online tramite Vivaticket e presso la biglietteria del Teatro Comunale, aperta dal martedì al venerdì dalle 12 alle 18, il sabato dalle 11 alle 15 (Largo Respighi, 1); nei giorni di spettacolo al Comunale Nouveau (Piazza della Costituzione, 4) da un’ora prima e fino a 15 minuti dopo l’inizio.