Sedici capannoni che ospiteranno mezzo milione di polli l’anno, pari al 10% di tutta la produzione italiana. È questo il progetto di un grande allevamento intensivo che insiste in località Cavallara, tra i Comuni di Maiolo, Novafeltria, San Leo e Talamello, in Alta Valmarecchia, in Romagna. Un progetto che ha ottenuto l’autorizzazione della Regione Emilia-Romagna senza alcun coinvolgimento della cittadinanza, che ora si è riunita in un comitato per fermare i cantieri di ciò che considerano un insediamento da un forte impatto nocivo sulla qualità dell’aria, la salute e il cambiamento climatico.

La lotta contro il progetto di allevamento intensivo in Valmarecchia

Tutto comincia nel 2020, quando Fileni, azienda attiva nel settore agroalimentare, in particolare per la produzione di carne, rileva dal fallimento un complesso agro-industriale in Alta Valmarecchia, dove negli anni ’70 esisteva un altro allevamento, chiuso nel 2009.
Il progetto viene approvato dalle istituzioni, in particolare dalla giunta della Regione Emilia-Romagna, in un iter che Luca Martinelli, giornalista di Altreconomia che ha seguito la vicenda, spiega aver avuto «alcune scorciatoie».

In particolare, per consentire l’insediamento è stata approvata una variante al Piano Regolatore del Comune di Maiolo, «che non prevedeva si potessero abbattere e quindi ricostruire gli edifici presenti sull’area», spiega Martinelli.
Il servizio giuridico della Regione, inoltre, nel suo parere sostiene che l’attività aziendale dell’allevamento intensivo sarebbe «in continuità», nonostante dal precedente allevamento a quello che dovrebbe nascere siano cambiate proprietà due volte e nonostante i 14 anni di inattività del sito stesso.

Tutto ciò è avvenuto senza alcun coinvolgimento della comunità locale, che ha appreso del progetto di realizzazione dell’allevamento intensivo solo una volta che sono partiti i cantieri.
Ciò però non ha fatto desistere cittadine e cittadini, che si sono riuniti nel “Comitato per la tutela dagli effetti degli allevamenti intensivi“.
«I cittadini sono preoccupati perché, come ha rilevato nella partecipatissima assemblea pubblica di sabato scorso, l’oncologo Lorenzo Menghini – racconta Martinelli – si tratta di impianti molto dannosi, con emissioni di ammoniaca, metano e gas climalteranti, quindi sostanze che peggiorano la qualità dell’aria e sono precursori delle pm 2.5 che sono sostanze cancerogene».

Accanto alle preoccupazioni per la salute umana e gli effetti sul cambiamento climatico, ci sono anche ragioni che riguardano il benessere animale e il modello di sviluppo che gli allevamenti intensivi incarnano.
Oltretutto, come la stessa Fileni ha specificato, i polli prodotti avranno la certificazione biologica. «Lo scorso gennaio l’inchiesta di Giulia Innocenti per Report ha evidenziato tutte le lacune della certificazione biologica legata a prodotti industriali – sottolinea il giornalista – Probabilmente dovremmo ripensare l’idea che possa esistere un’agricoltura o un allevamento intensivi biologici».

La battaglia del comitato contro l’allevamento intensivo potrebbe anche assumere vie legali, viste le incongruenze riscontrate nelle documentazioni. Tuttavia sono anche altre le forme che la cittadinanza ha scelto, come la camminata di domenica scorsa, che è culminata davanti all’ingresso del cantiere. Più in generale lo scopo è anche quello di far vedere alle istituzioni che esiste una contrarietà forte sul territorio al progetto di allevamento intensivo.

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