«Questa è una storia dove prendo quello che mi hanno raccontato, ci attacco quello che non mi hanno raccontato e lo condisco con quello che ho scoperto leggendo libri e parlando con altri: parenti, amici, studiosi. Non è la mia storia, è la storia di un uomo che non c’è più, ma è più mia di qualunque altra storia mi venga in mente. Quindi, è quella giusta. Mi chiamo Adelmo Cervi, ho 70 anni e sono figlio di un mito, o almeno così mi considerano».
Sono queste le prime parole di Adelmo Cervi nel trailer de “I miei sette padri”, docufilm che ripercorre la storia partigiana e umana dei fratelli Cervi, ad ottant’anni dalla loro uccisione a Reggio Emilia – il 28 dicembre 1943 – per mano dei fascisti repubblichini, attraverso gli occhi di Adelmo stesso, figlio di Aldo, uno dei sette fratelli Cervi.

Adelmo Cervi sulle tracce dei suoi “sette padri”: i fratelli Cervi

La pellicola verrà presentata in anteprima nazionale alla Cineteca di Bologna, alle ore 18.00 del 21 aprile, giorno in cui si celebra la liberazione del capoluogo emiliano dal nazifascismo, è diretta da Liviana Davì e sceneggiata da Christian Poli.
«Il lavoro nasce dall’intento di Liviana Davì di dare una voce ad Adelmo e al suo percorso di ricerca del padre – esordisce lo sceneggiatore – Liviana ha lavorato al museo Cervi ed è lì che si sono conosciuti».

La pellicola è direttamente basata sul romanzo di Adelmo Cervi, “Io che conosco il tuo cuore”, ma è arricchita da materiali audiovisivi inediti e d’archivio: «C’è molto girato di oggi, col viaggio di Adelmo nei luoghi della resistenza partigiana attorno a Reggio Emilia, ma anche interviste mai ascoltate prima d’ora», continua Poli. A rendere unico questo lavoro saranno alcune pellicole girate negli anni’80 da Mario Cervi (figlio di Agostino Cervi e cugino di Adelmo) e vari frammenti dei film “I sette fratelli Cervi” di Gianni Puccini e “Papà Cervi” di Franco Cigarini, ma uno dei contenuti più preziosi è un’intervista audio inedita ad Alcide Cervi, padre dei sette fratelli, resa disponibile dalla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia.

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«Il titolo del film, “I miei sette padri”, non è casuale – aggiunge Poli – gli zii di Adelmo, per lui sono quasi come padri, perché il mito li riguarda tutti quanti, così come il tragico destino che hanno condiviso e la ricerca che Adelmo stesso ha condotto per tutta la vita».
Nel film – così come nel romanzo su cui esso è basato, ma più in generale nella propria ed intera vita reale – Adelmo ha indagato a fondo sul dolore, la perdita, la mancanza. Ha studiato il mito e come è stato costruito – quel mito con cui ha dovuto convivere fin dalla nascita, lui che aveva solo 3 mesi il giorno dell’eccidio – ma anche chi fossero veramente i sette fratelli Cervi. Non solo in qualià di partigiani, ma soprattutto di uomini come tutti, con una vita fatta di affetti e lavoro ma spezzata troppo presto.

Lavorare su una storia del genere, da un punto di vista cinematografico, a detta dello sceneggiatore non è stato semplice: «Quando hai a che fare con un mito del genere, radicato nel corso di decenni, devi avere avere molta delicatezza, ma soprattutto rispetto: rispetto delle fonti, della realtà storica, di quello che le persone si aspettano e di una memoria che non è fredda e apatica, ma viva e pulsante».

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Andrea Mancuso