Per i 100.000 manifestanti di sabato, l’indiffernza verso le condizioni dei detenuti delle carceri spagnole è inacettabile. “Al di là delle questioni politiche, è un fatto di diritti umani”, commenta Grosso del Manifesto.
Dopo la partecipatissima manifestazione di Bilbao, che il 12 gennaio ha portato in piazza e per le strade della capitale basca più di 100.000 persone, la lotta per i diritti dei detenuti spagnoli continua. L’iniziativa, che è un appuntamento fisso già da cinque anni, è nata per denunciare il mancato rispetto dei diritti fondamentali dei prigionieri politici, non solo nelle carceri spagnole, ma anche in quelle francesi.
Nonostante la volontà di alcuni partiti e dello stesso ministro della Giustizia Gallardòn di sospendere il corteo, sabato, i manifestanti hanno potuto contare sull’appoggio di personalità del mondo politico, culturale e sportivo spagnolo, ma anche su diverse associazioni cattoliche. Questa è una dimostrazione della trasversalità del tema, commentano da Herrira, il comitato organizzatore dell’evento.
Ma il rispetto dei diritti umani non è l’unico punto all’ordine del giorno. La maggior parte dei prigionieri politici è detenuta in carceri anche molto lontane dal paese d’origine, senza possibilità di avere contatti frequenti con le famiglie e col territorio.”Vige un regime di carcere durissimo” commenta Giuseppe Grosso, corrispondente spagnolo del Manifesto che ha partecipato alla manifestazione. “I prigionieri sono costretti a scontare la pena in carceri lontanissime dal paese d’origine. Prima ciò veniva giustificato per evitare contatti all’interno dell’Eta, ma dall’ottobre del 2011 l’organizzazione ha deposto le armi, di conseguenza questa misura non ha più senso. Oggi più che mai è valida l’istanza delle organizzazioni che vorrebbero il riavvicinamento dei prigionieri al paese basco. Al di là delle questioni politiche, è un fatto di diritti umani“, conclude Grosso.
Giulia Maccaferri