Domani, alle 18 in piazza Galvani, la Consulta contro l’esclusione sociale darà vita ad un’iniziativa per celebrare la giornata dell’Onu contro la povertà.
Povertà ed esclusione affliggono sempre più anche la nostra città. Secondo gli ultimi dati Istat a Bologna sono poco di 1000 le persone senza fissa dimora a fare la spola fra la strada, le mense e i dormitori. Una piaga drammatica di fronte a cui non si può più voltare la testa dall’altra parte, chiusi nei fortini del nostro
quotidiano individualismo.
Mercoledì 17 ottobre, data simbolo della Giornata mondiale Onu della lotta alla povertà, la Consulta contro l’esclusione tenta di porre l’attenzione sul tema, invita la città a fermarsi, a riflettere, per una sola notte, su cosa significa dormire in strada. Dalle 18, a Piazza Galvani, interventi, testimonianze, intermezzi musicali e teatrali per una lunga notte all’addiaccio, di questo ottobre clemente in cui il freddo non è ancora arrivato. Notti all’aperto, notti solidali anche a Milano e Roma, le metropoli in cui i senza tetto raggiungono i numeri più elevati, oltre a Padova, Vicenza, Treviso e Trento.
In Italia le persone senza dimora sono 47.647, in Emilia Romagna 4394. Fantasmi di cui poco importa, se non per fomentare l’insicurezza percepita e disumanizzare l’esistenza sotto l’onnipresente parola “degrado”. Un degrado fatto di uomini e donne che – dicono i dati Istat – nel 61% dei casi hanno perso il lavoro. Una quota rilevante finisce in strada dopo il divorzio, quando la famiglia si sfascia e mancano i soldi per un doppio affitto. I dati ci dicono che si tratta per la stragrande maggioranza di uomini,
le donne sono solo il 13%, divise quasi a metà fra italiane (43%) e donne dell’Est, provenienti da Bulgaria, Romania, Polonia e Ucraina.
Povertà estrema frutto di un salto nel vuoto rispetto ad un periodo precedente di normalità, un rovesciamento della sorte che se tante volte coincide con la perdita del lavoro molte altre è l’esito di
una migrazione ‘sbagliata’, semplicemente andata male. Il 59% dei senza dimora in Italia è straniero – soprattutto rumeni, marocchini, tunisini – per cui il sogno dell’Europa si è trasformata in una trappola infernale. Giovani, l’età media per gli stranieri è 36,9 anni contro i 49,9 degli italiani, per cui la permanenza in strada, è molte volte il punto più profondo di un abisso da risalire in fretta, in media sono 6 i mesi di permanenza in strada contro i 4 anni degli italiani.
Una situazione d’emergenza in cui i servizi sociali arrancano, incapaci di farsi carico di situazioni di disagio estremo. Agli sportelli si allungano le liste di attesa, due tre mesi che per chi vive in strada corrispondono ad una domanda caduta nel vuoto più assordante. A colmare le lacune di questo welfare in crisi il privato sociale, con molta volontà e poche risorse. Anna Maria Nasi – presidente della Consulta contro l’esclusione ammette le difficoltà dei servizi e chiede alle associazioni di fare rete, in un momento in cui le amministrazioni sembrano avere le mani legate. Fra gli ultimi interventi l’apertura di uno sportello a bassa soglia per bypassare l’assurdo vincolo della residenza richiesta dagli sportelli di quartiere.
Alessandro Tortelli – dell’associazione Amici di Piazza grande – è netto nel chiedere di “spendere più intelligentemente.” Non di più, ma in un modo radicalmente diverso. Tortelli cita il caso recente di una famiglia nigeriana, una donna e tre bambini in strada, a cui solo la sinergia delle associazioni hanno saputo dare una risposta, ottimizzando le risorse messe a disposizione del pubblico. Una soluzione ad hoc che inverte la logica della burocrazia, dell’immobilismo, di chi agli sportelli aveva risposto alla donna: “Torni a gennaio”. “Il punto di partenza – ripete Tortelli – è la conoscenza dei dati, per impostare politiche idonee, capaci di intercettare i bisogni reali e non fondate sui luoghi comuni.”
Angelica Erta