25 associazioni lanciano una petizione per chiedere al presidente del Senato di sbloccare la legge che introduce i reati ambientali nel codice penale, ferma da 10 mesi. Le lobby dell’industria inquinante bloccano il provvedimento. Ciafani (Legambiente): “Oggi si rischia di più rubando una mela”.

30mila reati all’anno accertati in ambito ambientale. Terra dei Fuochi, Taranto, Marghera, Gela le zone più colpite. Nonostante i numeri parlino chiaro, ad oggi nel nostro Paese non c’è ancora una legge che punisca quelli che sono veri e propri reati a danno della sicurezza e della salute di tutti i cittadini e di un’economia sana. È per questo che Legambiente e Libera, insieme ad altre 23 sigle (tra cui associazioni di cittadini, di categoria e comitati) hanno lanciato una petizione intitolata “In nome del popolo inquinato”.

In particolare si chiede al Senato una rapida, quanto urgente, approvazione del disegno di legge contro i reati ambientali nel Codice Penale, il cui iter è bloccato da più di 10 mesi a causa di semplici limiti tecnici, nonostante il sì della Camera nel febbraio scorso. Ad ostacolare l’approvazione del ddl, però, non sono solo questioni tecniche. “C’è una fortissima pressione di una parte dell’industria italiana che vuole continuare ad inquinare l’ambiente, rimanendo impunita”, spiega Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente.

Sempre più sono i profitti: il business illegale fattura circa 16 miliardi di euro all’anno secondo il rapporto di Legambiente del 2013, ricavati da trasporto e abbandono di materiali radioattivi e non solo. Azioni, considerate reati contravvenzionali che passano impunite, se non attraverso sanzioni di serie B che molto spesso vanno in prescrizione.  Per Legambiente, oltre alle questioni giudiziarie, si può parlare anche di concorrenza sleale: “Se da un lato c’è una parte del nostro Paese che, per quanto minoritaria, non vuole che questa legge venga approvata, scaricando i costi ambientali sull’ambiente e sui cittadini e non inserendoli nei loro bilanci; dall’altra ci sono aziende che invece rispettano la legge e trattano i loro reflui e le messe in atmosfera spendendo dei soldi”.

È necessario, quindi, un sistema di controllo più strutturato che vada di pari passo con un inasprimento della legge, altrimenti si continueranno a contestare reati considerati meno gravi e si continuerà a “navigare nel mare dell’inquinamento”. Si sta cercando a questo proposito di costruire una mobilitazione, dapprima in via telematica attraverso una petizione (su change.org) per colmare questa lacuna presente nel nostro paese. È dal 1994 che Legambiente combatte questa battaglia, anche l’Europa lo ha chiesto con una direttiva del 2008: una riforma di civilità, ciò che si pretende.

Alina Dambrosio