È bastato un abbassamento sensibile delle temperature, assolutamente normale a gennaio, a provocare la morte di sei senza fissa dimora nel nostro Paese. La proprietà privata sembra valere più della vita, eppure i progetti di “housing first” funzionerebbero.
Piano Freddo: I senzatetto continuano a morire
Può considerarsi civile e moderno un Paese in cui gli indigenti muoiono ancora di freddo? La domanda sembrerà retorica, ma è quello che viene da chiedersi leggendo le cronache di questi giorni.
Il sensibile calo delle temperature che ha colpito l’Italia in questi giorni ha portato in molte zone il termometro a qualche grado sotto lo zero, ma nulla di eccezionale e apocalittico per il mese di gennaio.
Ciò è però bastato a provocare la morte di sei persone senza fissa dimora. Ad Avellino, Aversa, Messina, Firenze, Latina e Milano sono stati registrati sei decessi di clochard che, scontato dirlo, si potevano benissimo evitare. Un altro clochard aveva perso la vita, sempre per il freddo, lo scorso 2 gennaio a Bari.
Se è vero che si tratta soprattutto di città del centro-sud poco avvezze a temperature rigide, è altrettanto vero che l’allerta è stata data con ampio anticipo e le Amministrazioni avrebbero avuto tutto il tempo per attrezzarsi.
Non si creda, inoltre, che il problema riguardi solo un meridione sprovveduto. Anche al nord le persone muoiono di freddo e di indifferenza.
Qualcuno ricorderà quanto accadde nel gennaio 2011 nella “accogliente” Bologna, dove il piccolo Devid Berghi, un neonato di pochissimi mesi, trovò la morte nel cuore cittadino per le complicazioni di una malattia stagionale dovuta al freddo. In quella circostanza si puntò il dito e si cercò di scaricare la responsabilità, anche giudiziaria, sui genitori senzatetto, ma è evidente che quella tragedia ci racconta qualcosa di ulteriore.
Il piccolo Devid morì dopo una campagna istituzionale durata diversi anni e cominciata sotto la guida dell’allora sindaco Sergio Cofferati. Fu la sua Amministrazione a coniare l’espressione “accoglienza disincentivante“, concretizzatasi con il taglio e lo smantellamento di molti servizi a bassa soglia, quelli riservati allo strato più fragile della cittadinanza.
Il teorema di Cofferati e della sua giunta era che se la città offriva troppi servizi ai senzatetto, avrebbe attirato anche quelli di altre città.
Come afferma il presidente dell’associazione Avvocato di Strada, Antonio Mumolo, nella nostra società la povertà sembra diventata una colpa e i clochard sarebbero dunque colpevoli di non avercela fatta.
Del resto, quello a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi sul tema della casa, cioè l’ondata di sgomberi (che hanno colpito la stessa Bologna) di occupazioni abitative in stabili lasciati all’abbandono da anni, ci suggerisce che la feroce ideologia neoliberista che ci governa considera la proprietà privata un diritto che prevale sulla vita delle persone. È più legittimo possedere un palazzo e lasciarlo vuoto, spesso per fini speculativi, che rivendicare un riparo dal freddo.
E i “piani freddo” comunali spesso si riducono sotto i colpi dei tagli al welfare.
Eppure le alternative esistono e non solo quelle che trasgrediscono un retorico concetto di legalità.
Per restare nella nostra città, Piazza Grande da tempo sta dando vita ad un progetto di “housing first” che ha già dato un tetto e contribuito al reinserimento sociale di svariate decine di persone.
Il meccanismo prevede che l’associazione si faccia garante del pagamento della locazione di appartamenti affittati da senza fissa dimora. Così i proprietari sono tutelati da eventuali insolvenze e le persone non sono costrette a vivere in strada.
Non occorrerebbe molto a prevenire quanto successo in questi giorni, solo un po’ di attenzione e volontà politica.