Una mostra che sa recuperare una narrazione e presentare assoluti capolavori.
C’eravamo lasciati con la mostra ferrarese Il Simbolismo con le opere di Böcklin, Odilon, Moreau e ci ritroviamo a Padove con -Il Simbolismo in Italia-, panoramica sull’interpretazione nostrana di quell’arte, come in letteratura, poesia e musica, che traghettò la creatività dall’ottocento alla modernità; infatti, se ancora resiste potente e magico lo Sturm und Drang del diciannovesimo secolo impregnato dalla tempesta dei sentimenti e dallo scatenarsi delle forze della natura, echeggia nelle avanguardie la fascinazione di Nietzsche sulla visione dell’arte che sa guardare “oltre”, una solitudine cosmica che all’inizio novecento ispirò il gruppo –Die Brucke– in Germania e i simbolisti in Francia ed Italia.
Nella Vienna imperiale il dottor Freud scrive nel 1899 l’Interpretazione dei sogni, due anni prima l’irlandese Bram Stocker pubblica Dracula, nel 1849 muore Edgar Allan Poe: l’inconscio prende possesso dell’arte cambiando il paradigma del mistero. Così Il Giorno Sveglia la Notte di Previati (1905), Mare di Nebbia di Grubicy de Dragon (1895), l’Autoritratto a china di Alberto Martini, Il Peccato di Franz von Stuck (1909) sfidano la morte imprigionandola nel segno.
Accanto a loro anche molte tele di Pellizza da Volpedo in un ritrovato accordo con la quiete di una natura non più matrigna (La Neve – 1906) e alcuni capolavori del maestro Giovanni Segantini come Le due madri (1889).
Un altro elemento congiunge diversi movimenti di questo cambio di secolo: il recupero della grafica, un’arte rinascimentale alla Durer caduta nell’oblio, che invece torna in tutte le sfaccettature alchimiste di un giovane Ottone Rosai, intento a scoprire gli anfratti del mistero.
Nei vari tratti dei diversi artisti esposti ritroviamo tutte le avanguardie dominanti dell’epoca: dal divisionismo della “Maternità” di Previati (1890), alla pittura “socialista” di Angelo Morbelli con Giorno di Festa al Pio Albergo Trivulzio ( 1892), alle tante riminiscenze di impressionismo nei tramonti di Enrico Coleman con Speculum Dianae (Lago di Nemi), 1909.
Non poteva mancare la pietra di paragone simbolista dell’Isola dei Morti di Brocklin, qui presentata nella “cover” di Otto Vermehren e, due tele che da sole valgono la mostra, la “Giuditta – Salomè” di Gustav Klimt o “Il Peccato“, capolavoro di Franz von Stuck.
Una mostra che ancora una volta ci insegna, se mai ancora servissero altre prove dell’avventura dell’arte, che questi anni che ci portano dalla fine 800 fino agli anni venti del ‘900, l’Europa, e non solo, si è giocata il passato, il presente e il futuro.