Il governo Draghi non ha ancora ottenuto la fiducia del Parlamento e, dopo l’annuncio della lista dei ministri, non sono mancati i malumori tra le stesse forze politiche che avevano manifestato la volontà di appoggiarlo.
Da un lato Sinistra Italiana, componente di LeU in Parlamento, ha annunciato il proprio “no” alla fiducia dopo un’assemblea svoltasi nel fine settimana, ma le acque sono molto agitate, per non dire in burrasca, anche all’interno di quella che è ancora la prima forza parlamentare, il M5S.

M5S, le turbolenze in vista del voto di fiducia

«Il super ministero chiesto da Beppe Grillo non c’è. Il ministero dell’Ambiente non sarà fuso con il ministero dello Sviluppo economico – ha sottolineato nei giorni scorsi Barbara Lezzi, senatrice pentastellata – Non abbiamo votato per questo sulla piattaforma Rousseau». Insieme a lei, secondo alcune ricostruzioni ci sarebbero altri 7 senatori del Movimento pronti a votare contro la fiducia al Senato. Secondo altri, la conta dei contrari salirebbe a 20 al Senato, mentre alla Camera annovererebbe una trentina di deputati. A non piacere, oltre alla questione del ministero per la Transizione Ecologica, è il peso dato a Lega e Forza Italia, al punto che è rispuntato il tema delle condanne e del sostegno alla mafia contro i berlusconiani.

Per contro, il capo politico Vito Crimi ha puntato sull’argomento delle poltrone per persuadere i dissidenti. Se non arrivasse la fiducia da parte del M5S a Draghi, infatti, quindici sottosegretari e tre viceministri rischierebbero di saltare. «Appoggiateci e poi vediamo, potremmo rompere le scatole su tutto – ha sostenuto Crimi durante una riunione molto accesa – Da domani cominceremmo a spingere per avere un numero adeguato e anche superiore di sottosegretari alle dimensioni del gruppo. Se siamo meno di 282 a votare la fiducia ovviamente cambiano le percentuali e il numero di sottosegretari spettanti. Quello che cercavo di farvi capire sul potere contrattuale».

«Quello che viene messo in discussione da un numero ancora da accertare di parlamentari e da gran parte della base – osserva ai nostri microfoni Giuliano Santoro, giornalista de il Manifesto – non è il fatto di essere entrati in questa maggioranza, ma il come sono state gestite le trattative, come sono state scelte le nomine e come sono stati divisi i ministri. Quindi è una cosa che mette in dubbio i vertici del movimento».

Sul tavolo rimane la proposta dell’astensione sulla fiducia al governo, che era circolata prima del voto sulla piattaforma Rousseau e ora viene riproposta da Davide Casaleggio come possibile mediazione.
«Questo, secondo me, si vedrà nelle prossime ore – afferma Santoro – I vertici contano di recuperare il dissenso. Circolava anche la proposta di far ripetere la votazione su Rousseau, perché il ministro della Transizione Ecologica come era stato proposto dal quesito formulato non si è concretizzato. In ogni caso, questi momenti convulsi indeboliscono il M5S nella fase decisiva nella trattativa per l’inizio del governo e per la formulazione del programma».

Oltre alla questione attuale, però, in gioco c’è anche il futuro stesso dei pentastellati. «È evidente che esisterà un prima e un dopo questi giorni – sostiene il giornalista – ed è evidente che il M5S, se esisterà perché oggettivamente c’è in dubbio anche l’esistenza stessa non nel brevissimo periodo, sarà un oggetto politico completamente diverso rispetto al passato».
È in questa cornice che si inserisce l’idea di Beppe Grillo di chiudere con la fase dell’anti-casta per tornare ai temi delle origini, all’ambientalismo, legando di più il M5S al centrosinistra.
«È una visione romantica di quello che si possa pensare – conclude Santoro – perché Grillo sa bene che la partita della transizione ecologica è una partita anche economicamente enorme, non è semplicemente una riverniciatura morale. Il M5S dovrà dimostrare di essere al crocevia di questi flussi di denaro enormi che verranno investiti».

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