Ci ha lasciati anche Sanremo 2024, nato con l’idea di chiudere con il botto la conduzione quinquennale di Amadeus e morto sotto il peso schiacciante e invadente del presente. E il risultato di questa vita breve ma intensa, più che la malinconia per la fine della settimana carnevalesca per eccellenza, rischia di essere un cortocircuito nel patto di fiducia tra pubblico e informazione.
Nel giro di una settimana, infatti, giornali e televisione si sono trovati non solo ad affrontare cantanti che non si sono limitati a fare i cantanti, ma addirittura a guadare il confine paludoso che distingue un’informazione nota a tutti da un pettegolezzo diffuso. Inimmaginabile pensare di trovarsi a gestire in soli sette giorni Dargen D’Amico che contesta apertamente le politiche migratorie del governo da Mara Venier, voci di corridoio su un affaire tra Mahmood e Marco Mengoni e Ghali, un italiano di seconda generazione che chiama apertamente il conflitto israelo-palestinese un “genocidio”.
Il post-Sanremo e il problema dei giornalisti col dissenso
Se il caso di Dargen D’Amico è ormai stranoto, gli altri due meritano qualche parola in più. Per quanto riguarda Mahmood, nella prima serata di Sanremo è stato presentato da Marco Mengoni, lì in veste di co-conduttore, e l’interazione tra i due cantanti ha dato il via a diverse voci su una passata storia d’amore tra loro. Queste voci hanno alimentato la speculazione sull’orientamento sessuale di entrambi, ed è forse anche con queste che i giornalisti Peter Gomez e Roberto D’Agostino si sono convinti che i due avessero già fatto coming out, discutendone in prima serata su Rai 3. Il fatto, accaduto al programma Chesarà…, costituisce al meglio un esempio di disinformazione e al peggio di vero e proprio outing: il coming out forzato e imposto a una persona divulgando il suo orientamento sessuale senza il suo consenso.
Ghali, invece, nel giro di un paio di giorni ha chiesto lo stop del genocidio palestinese sul palco dell’Ariston e ha ribadito la sua posizione da Mara Venier a Domenica In. Le esplicite posizioni del cantante hanno spinto Repubblica, che aveva pronta un’intervista con lui, a chiedergli di aggiungere un commento sull’attacco di Hamas del 7 ottobre; al rifiuto di Ghali di sottostare alla richiesta, la pubblicazione dell’intervista è stata revocata. La notizia dell’accaduto è stata riportata dal Fatto Quotidiano (peraltro, coincidenza, diretto online da Peter Gomez) e ha scatenato un piccolo caso mediatico, che ha spinto Repubblica a pubblicare l’intervista e negare con veemenza ogni accusa di censura. La difesa del quotidiano cozza però con le informazioni che trapelano da fonti interne: il giornalista Paolo Mossetti ha infatti riportato il comunicato del comitato di redazione al proprio direttore, formulato per contestare la decisione di revocare in primo luogo la pubblicazione dell’intervista.
Questa tripletta casuale di eventi problematici per la narrazione mediatica della diversità è talmente inimmaginabile che, si potrebbe argomentare, in fin dei conti l’informazione non ha gestito nessuna delle tre questioni. Dargen D’Amico è stato frettolosamente liquidato con la scusa del tempo stringente, Gomez e D’Agostino hanno fatto outing a due cantanti spacciando un pettegolezzo per un fatto assodato e un quotidiano nazionale ha revocato la pubblicazione di un’intera intervista già impaginata perché un cantante si è rifiutato di rispondere a una domanda su un’offensiva terroristica.
Già nel 1981, d’altronde, Massimo Troisi rinunciò a presenziare a Sanremo come ospite perché «Mi hanno detto di fare tutto, meno di parlare di religione, di politica, di terrorismo, di terremoto. Perché ‘o Paes’ sta in una situazione accussì». I postumi della settimana di Sanremo, però, sembrano denunciare in modo particolarmente beffardo l’inadeguatezza degli strumenti per leggere la realtà in mano ai media tradizionali, lasciandoli a chiedersi: che farne del dissenso, quando irrompe a sorpresa – o quantomeno, con modalità che non erano state concordate? Come gestire la diversità altrui, consista essa in opinioni, sensibilità, orientamenti diversi dai nostri? Quanto è lecito includere o escludere le visioni del mondo dissonanti rispetto a quella che abbiamo sempre raccontato? E nel mezzo di questa crisi, il lettore dove si colloca? Per quanto ancora si affiderà alla narrazione generalista della realtà, fiducioso che sia quella giusta?
Chi l’avrebbe mai detto che tutti questi interrogativi sarebbero scaturiti da Sanremo, l’evento più trasversale e nazionalpopolare d’Italia. Anche questo, fino a poco tempo fa, sarebbe stato inimmaginabile; d’altronde, ‘o Paes’ sta in una situazione accussì.
Chiara Scipiotti