Dopo gli eccessi iperglicemici delle feste, Bologna si è risvegliata con una polemica che serve a rimettersi in movimento, anche se il rischio è che risulti un po’ indigesta.
Tutto ruota attorno a un film russo, “Il testimone”, in programma a fine mese alla casa di quartiere Villa Paradiso. La pellicola – che non è un documentario come qualcuno ha sostenuto, ma un film drammatico – è accusata di essere un’opera di propaganda russa, “anti-ucraina”, come l’ha definita il Comune di Bologna in una nota.

Il film bolognese sul film russo

Leggendo la trama e informandosi sulla genesi del film, parrebbe che sia proprio così. La storia racconta di un artista trovatosi su suolo ucraino al momento dell’invasione russa dell’Ucraina, l’inizio del conflitto, e diventa testimone di atrocità e violenze da parte dell’esercito di Kiev, tra cui vi sono comandanti che giurano sul “Mein Kampf” di Adolf Hitler.
Il film, dunque, parrebbe giustificare l’operazione militare voluta da Putin, il quale ha sostenuto di voler de-nazificare il Paese.

Ovviamente la realtà è sempre più articolata di quella raccontata da un film, ma se “Il testimone” viene velocemente liquidato come opera di propaganda, lo stesso criterio andrebbe applicato a una vasta filmografia italiana, in particolare quella che si concentra sul periodo storico che precede o si svolge durante la Seconda Guerra Mondiale, che spesso ha raccontato il colonialismo italiano come “buono” o “meno crudele” di quello di altri Paesi e che ha dipinto gli “italiani brava gente” anche quando erano militi fascisti.

Insomma, la propaganda permea da sempre il cinema e, a seconda di chi produce le pellicole, nei lungometraggi si sostengono queste o quelle tesi, magari mettendo in rilievo alcuni fatti realmente accaduti ma svincolati dal contesto (e le foibe?!), a volte anche con vere e proprie aberrazioni storiche. È quello che, ad esempio, troviamo nel film “La vita è bella” di Roberto Benigni, dove a liberare le persone recluse nel campo di concentramento di Auschwitz sono i carri armati statunitensi, mentre nella realtà sono stati quelli sovietici. Ciononostante il film si è aggiudicato tre Premi Oscar.

Propaganda e censura, la vicenda di Villa Paradiso

La polemica bolognese è scoppiata perché la proiezione de “Il testimone” è stata organizzata nella casa di quartiere, uno spazio di proprietà comunale affidato con una convenzione all’associazione Centro sociale culturale Villa Paradiso.
I gestori dello spazio hanno spiegato che la proiezione non è stata organizzata da loro, ma hanno messo a disposizione lo spazio per un’iniziativa organizzata da altri, come tante ne sono state organizzate nei mesi precedenti, in particolare sul tema delle guerre.

Dopo aver incontrato i gestori, il Comune ha diffuso una nota in cui sostiene che Villa Paradiso «è uno spazio affidato in convenzione affinché siano perseguite finalità di carattere pubblico, e non altre. Questo rende radicalmente incompatibile ogni attività di propaganda».
Una posizione che rischia di essere molto pericolosa, sia perché non è stata mantenuta in passato, sia perché esula dalla regolamentazione che lo stesso Comune ha stilato per evitare che nei propri spazi si svolgano iniziative sconvenienti.

Lo scorso 10 novembre, ad esempio, la Sala Biagi del Baraccano, sede del Quartiere Santo Stefano, è stata concessa per la presentazione del libro di Mario Adinolfi, leader del Popolo della Famiglia, intitolato “Contro l’aborto, le 17 regole per vivere felici”.
Difficile sostenere che il libro e il suo autore non abbiano a che fare con la propaganda anti-abortista, in contrasto con una legge dello Stato che garantisce l’interruzione volontaria di gravidanza. Lo spazio pubblico in quel caso fu concesso e l’Amministrazione comunale non ritenne che vi fossero incompatibilità dovute alla propaganda.

Nel 2018, per scongiurare che forze neofasciste ed eversive svolgessero le proprie iniziative in spazi pubblici, il Comune di Bologna modificò alcuni regolamenti comunali allo scopo di vietare gli spazi pubblici a chi discrimina in base all’etnia, alla religione o al sesso. Per l’utilizzo degli spazi diventò necessario sottoscrivere i principi antifascisti della Costituzione.
I casi, a questo punto, sono tre: o quelle modifiche non sono state sufficienti e sono state pensate in modo grossolano solo per porre ostacoli a forze politiche che, da Costituzione, dovrebbero già essere sciolte; o la proiezione del film russo rientra nella casistica di divieti dei regolamenti comunali, e a questo punto non c’è nulla da discutere; o, se il film supera quel vaglio, quella del Comune è un’autentica censura.

In assenza di appoggi giuridici o regolamentari, la posizione espressa dal Comune di Bologna rischia di costituire un precedente pericoloso, perché istituirebbe una sorta di entità – l’Amministrazione stessa – che decide quale film viene proiettato e quale no anche se nel rispetto dei criteri da esso sanciti.
Qualora voglia esercitare questo potere, l’Amministrazione dovrebbe però rivedere il proprio regolamento. Se non vuole che le proprie sale ospitino iniziative di propaganda, lo metta per iscritto, così ci risparmieremmo anche la propaganda antiabortista.

La cacciata dei Verdi con il pretesto del film russo

La vicenda che ruota attorno al film russo, però, si è arricchita di un ulteriore capitolo, forse il più clamoroso. Il sindaco Lepore ha cacciato dalla maggioranza i Verdi in seguito alle dichiarazioni del consigliere comunale Davide Celli. Celli ha affermato in Consiglio comunale di essere contrario ad ogni forma di censura e di essere interessato a vedere il film per capire come funziona la propaganda russa.
Implicitamente, dunque, nelle sue dichiarazioni, anche precisate successivamente in un post e in un’intervista ai nostri microfoni, il consigliere riconosce che si tratti di un film di propaganda.

Ciò non è bastato, però, a frenare l’ira del sindaco Matteo Lepore, che in un comunicato ha fatto sapere: «Prendo atto che i Verdi sono fuori dalla coalizione di Centrosinistra in Comune a Bologna e non avrei mai immaginato che per un pugno di voti avrebbero difeso i pro Putin. C’è un limite a tutto».
Sia Celli che i dirigenti dei Verdi hanno rigettato l’accusa di essere pro-Putin e hanno subito sostenuto che la scelta del sindaco sia un pretesto che nasconde altre questioni, in particolare l’opposizione dei Verdi alla gestione del patrimonio arboreo e ad alcuni progetti che prevedono consumo di suolo.

A ben vedere è difficile pensare che sia una dichiarazione su un film russo, anche se fosse stata ambigua, a produrre la rottura nel centrosinistra.
La tesi più verosimile è proprio quella che vede il sindaco e la giunta mal sopportare l’opposizione interna alla maggioranza rappresentata dai Verdi.
Il modo in cui si è consumata questa rottura, però, appare davvero grossolano e il primo cittadino, che ci tiene a dare di sè un’immagine democratica e progressista, in questa occasione ha mostrato qualcosa di molto diverso.