Tra il blocco navale promesso in campagna elettorale da Giorgia Meloni e i 123.863 arrivi in Italia nel 2023 o le 4500 persone stipate nel centro di accoglienza di Lampedusa, con comprensibili tensioni, passa un mondo. In mezzo il decreto Cutro per «dare la caccia a scafisti e trafficanti in tutto il globo terracqueo» e il Memorandum con la Tunisia che semplicemente non ferma i flussi, obiettivo per cui la premier italiana ha voluto e firmato il documento.
Le politiche migratorie del governo Meloni hanno palesemente fallito l’obiettivo dichiarato dalla destra xenofoba e gli sbarchi sono raddoppiati rispetto al 2022 e triplicati rispetto al 2022, attestandosi su numeri paragonabili a cinque anni fa.

Le politiche migratorie di Meloni sono un fallimento, ma è utile per la propaganda

Eppure, la gestione così fallimentare e incapace dei flussi migratori, il caos generato da un sistema incentrato sull’emergenza, con gli enti locali che lamentano di non ricevere dal governo le risorse per allestire l’accoglienza, potrebbero essere funzionali alla propaganda della destra, che di immigrazione ha sempre parlato in chiave di “invasione” o addirittura “guerra”, come ha fatto di recente il ministro Matteo Salvini.
Ne è convinto Filippo Miraglia di Arci Immigrazione, che ai nostri microfoni spiega perché al governo faccia comodo creare il caos. «La situazione poteva e può ancora essere gestita tranquillamente – afferma Miraglia – Per loro però è un investimento in termini elettorali».

Per Miraglia non c’è nessuna invasione e l’Italia ha già accolto un numero superiore di persone rispetto a quelle arrivate quest’anno. «Il punto vero è che il governo non vuole accoglierle – sottolinea l’esponente di Arci Immigrazione – quindi lascia la situazione, sia degli arrivi che nella distribuzione territoriale volutamente nel caos per continuare ad avere immagini che confermano l’idea che ci sia un’invasione, che sono troppi, che l’Europa ci ha lasciati da soli».
Una gestione di questo tipo ha un ulteriore aspetto problematico che è di natura economica. La gestione in emergenza dell’accoglienza, invece che nel sistema di accoglienza diffusa come il Sai, costa di più alle casse dello Stato e aumenta il tempo di permanenza dei richiedenti asilo nel sistema.

Quanto all’Europa, in settimana ha suscitato un certo scalpore la notizia che la Germania rinuncerà al meccanismo di redistribuzione volontaria dei migranti e che la Francia rafforzerà i controlli alle frontiere.
Due notizie che possono essere spiegate come conseguenza delle politiche migratorie fallimentari dell’Italia. Secondo i dati diffusi dall’Agenzia europea per l’asilo emerge che, nel 2022 la Germania ha processato 244mila domande, la Francia 156mila, la Spagna 118mila e l’Italia si colloga solamente al quinto posto, dopo l’Austria, con 84mila domande processate. Anche nel primo semestre 2023 la Germania è il Paese che ha ricevuto il maggior numero di domande, con il 30% del totale, seguita da Spagna (17%) e Francia (16%).

«La Germania ha più del doppio delle domande d’asilo dell’Italia, eppure non c’è nessun allarme – sottolinea Miraglia – e avrebbe continuato ad aiutare il nostro Paese se il governo italiano non avesse puntato sul fatto che le persone, nel caos, non vengano inserite nel sistema di rilevazione delle impronte digitali su cui si basa il Regolamento di Dublino e quindi possono attraversare l’Italia senza fermarsi».
Questo spiega il dietrofront di alcuni Stati europei rispetto a meccanismi solidali nei confronti dell’Italia.

Anche la gestione degli sbarchi a Lampedusa, secondo Miraglia, potrebbe essere gestita in modo più ordinato ed evitando le tensioni, ad esempio istituendo un sistema di trasporti e trasferimenti ordinario.
Più in generale, però, sono le politiche xenofobe europee ad aver fallito perché le pressioni migratorie, così come i morti in mare e i problemi nell’accoglienza potrebbero essere superati aprendo canali di ingresso regolari e non impostati su meccanismi necessariamente aggirabili come l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro.

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