Omofobia, welfare, salute e spazi lgbt. Sono alcuni punti della piattaforma del Bologna Pride, che sfilerà sabato 25 giugno con lo slogan “Pride libera tutt*!”. Alle 15 al Cavaticcio il ritrovo per la manifestazione dell’orgoglio lgbt, che terminerà sotto la “coppia di fatto di Bologna”: le Due Torri.

Sabato 25 giugno torna Bologna Pride, la parata dell’orgoglio Lgbtq che raccoglie il testimone dell’Onda Pride, che nelle scorse settimane ha attraversato tutta l’Italia. Lo slogan di quest’anno è “Pride libera tutt*!“, accompagnato da una piattaforma in sei punti di analisi e proposte rivolte a tutti i Comuni della provincia di Bologna, ma anche alla Regione e a tutti i soggetti pubblici e privati che operano o attraversano il territorio bolognese.

Quest’anno le associazioni che hanno partecipato all’organizzazione del Bologna Pride e alla stesura della piattaforma sono 17, lgbtq e non, e hanno raccolto il sostegno di 712 privati cittadini attraverso un crowdfunding, nonchè quello di 46 attività commerciali o associazioni che espongono la vetrofania con la stella rainbow. “Il grande sostegno che abbiamo raccolto – sottolinea Vincenzo Branà, presidente del Cassero – testimonia che il Pride è una manifestazione condivisa e voluta dalla Città di Bologna e dai cittadini”.

Il corteo partirà dal parco del Cavaticcio, dove già dalle 13 saranno attivi i punti food e i banchetti delle associazioni coinvolte. Il concentramento del corteo è fissato per le 15, mentre la partenza sarà alle 16. Ad animare la parata, completamente ecologica, saranno dei carri a pedali, alcune bande musicali e le percussioni dei Marakatimba. Il corteo si muoverà lungo via Don Minzoni, via dei Mille e via dell’Indipendenza, fino ad arrivare in via Rizzoli dove, sotto le Due Torri, sarà allestito il palco finale. “Siamo felici – commentà Branà – di concludere la nostra manifestazione all’ombra della nostra coppia di fatto bolognese. Il Pride è un patrimonio collettivo, è una pratica condivisa e deve essere riconosciuto come tale. Come un patrimonio da preservare e da far crescere”.

Proprio nell’ottica di coinvolgere quante più persone possibile, sarà attivo anche un servizio di accompagnamento rivolto alle persone con disabilità e da prenotare via mail (accessibilita.bolognapride@gmail.com) entro venerdì.
Sabato mattina, inoltre, si terrà la Pedalata Orgogliosa organizzata da Arcilesbica Bologna, che partirà da Molinella per raggiungere in bicicletta, attraverso i territori di Budrio e Castenaso, il parco del Cavaticcio, così da coinvolgere anche gli abitanti di città vicine a Bologna.

Per quanto riguarda la partecipazione di politici e istituzioni, Branà sottolinea che “il Bologna Pride non vuole essere una vetrina istituzionale. Perciò – invita Branà -chi vuole venire venga, ma lo faccia con spirito di condivisione. Anche i rappresentanti delle istituzioni e il Sindaco sono invitati a venire, ma se vogliono farlo lo facciano con delle risposte alle nostre richieste”.
Richieste che sono tutte rintracciabili nella piattaforma politica stilata dalle associazioni, che si articola in sei punti ed è accompagnata da una sfida: “Bologna diventi la capitale dell’educazione alle differenze“.

Uno dei temi principali portati avanti dalla piattaforma è quello legato all’educazione e alla formazione. “I bambini – spiega Elisa dal Molin di Famiglie Arcobaleno – sono portatori di buone prassi. un bambino o una bambina che sono ancora liberi da pregiudizi e stereotipi devono essere cresciuti in questa maniera, con l’idea di includere e di non escludere. A Bologna abbiamo la fortuna di avere un’amministrazione comunale che si è sempre rivelata attenta a questi temi. Il problema è che gli interventi non sono strutturali. Purtroppo negli ultimi anni quando si parla di genere è più l’opposizione a queste tematiche a essere propagandata”. Con la celeberrima battaglia contro la fantomatica “Teoria del gender“.

A Bologna, sottolinea Dal Molin, ci sono alcune eccellenze, ma la città dovrebbe avere il coraggio di esportare questo enorme patrimonio di conoscenze e professionalità e farsi capofila a livello nazionale. “Si è parlato molto in campagna elettorale di legalità e sicurezza – osserva la referente di Famiglie Arcobaleno – La sicurezza si fa a più livelli e in più strati ed è inutile pensare all’esercito. L’educazione e la scuola sono il luogo privilegiato per creare dei cittadini consapevoli e rispettosi delle differenze”.

Un altro tema di rilievo proposto dalla piattaforma è quello dell’autodeterminazione dei corpi. Un argomento che unisce le rivendicazioni delle comunità lgbtq a quelle delle organizzazioni femministe e per la parità di genere. Se da una parte l’estrema strumentalizzazione del dibattito sulla gestazione per altri durante la discussione sul ddl Cirinnà ha alimentato l’odio e la disinformazione, dall’altra la continua crescita del fenomeno dell’obiezione di coscienza sta rendendo difficile il ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza per molte donne.

“Siamo di fronte ad una sorta di schizofrenia – sottolinea Giulia Sudano dell’Associazione Orlando – Da una parte si cerca di favorire la riproduzione nel caso in cui si parli di coppie eterosessuali, mentre si evita la riproduzione di modelli famigliari diversi da quella che è ancora considerato come il modello vero della famiglia eterosessuale. Al momento l’applicazione della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza è ostacolata dalla pratica sempre più diffusa dell’obiezione di coscienza”.

A livello nazionale l’obiezione di coscienza raggiunge il 70%. In Emilia Romagna le percentuali sono un po’ più basse: “solo” il 54% dei medici è obiettore. Ma significa comunque più di un medico su due.
Il tema della gestione del proprio corpo da parte delle donne riguarda anche la spinta sociale che viene fatta sulle donne affinchè divengano madri: è fondamentale che a ogni donna sia garantita la libertà di scegliere se avere un figlio o meno, senza subire pressioni – continua Sudano – Per quanto riguarda la gestazione per altri, sicuramente il tema è molto complesso, e proprio per questo ci sarebbe bisogno di un dibattito complesso e articolato”. La strumentalizzazione che se ne è fatta negli ultimi mesi, invece, non tiene conto che in realtà è una pratica a cui fanno ricorso principalmente coppie eterosessuali. Senza contare che il dibattito ha escluso a priori il fatto che una donna possa decidere volontariamente di mettere il proprio corpo a disposizione per la gestazione per altri”.

Anna Uras