Cosa sta succedendo in Italia? Davvero la musica può istigare al terrorismo? Davvero una performance su un palco in diretta nazionale può essere considerata danneggiamento?
A giudicare dalle notizie che arrivano da diverse Procure, il Belpaese sta vivendo un serio problema col simbolico. E la musica, in questo senso, sembra essere finita nel mirino della magistratura, con effetti che vanno dalla censura o all’autocensura fino al rischio della galera.
È sempre stato così? No, altrimenti Fabrizio De André, con l’intero album “Storia di un impiegato” e le tracce in esso contenute del calibro de “Il bombarolo” o “Al ballo mascherato”, sarebbe finito al 41-bis.

Il caso Blanco, la solerzia della magistratura su una performance a Sanremo

L’ultima notizia a evidenziare un problema del Paese, o almeno della magistratura e di alcune associazioni di consumatori, col simbolico risale a ieri. Il cantante Blanco è stato indagato dalla Procura di Imperia con l’accusa di danneggiamento, per il presunto fuori programma avvenuto alla prima serata del 73° festival di Sanremo, quando ha distrutto a calci il “giardino di rose” allestito sul palcoscenico del teatro Ariston.
L’inchiesta è stata aperta dopo un esposto presentato dal Codacons.

Nelle ore successive al gesto del cantante, che ai microfoni di Amadeus ha detto di non essersi sentito in cuffia durante l’esibizione e di aver voluto divertirsi ugualmente, i sospetti sulla possibilità che si trattasse di una performance preparata sono stati diversi. Dal videoclip della medesima canzone dell’artista che contiene una scena in cui lo stesso Blanco distrugge rose, fino alla prontezza di Gianni Morandi che entra in scena con una scopa per spazzare i fiori sparsi sul pavimento.

«Non bisogna assolutamente derubricare a teatrino questa vicenda», ammonisce ai nostri microfoni il sociologo Matteo Bortolini, secondo cui la denuncia ai danni di Blanco ci conferma che Sanremo non è lo specchio del Paese, come invece si sostiene.
Il sociologo sottolinea il doppio legame, la contraddizione che emerge dalla kermesse ligure con, da un lato, il messaggio “Pensati libera” sul vestito di Chiara Ferragni e, dall’altro, il messaggio opposto del “se tiri due calci alle rose vieni denunciato“.
Nella lettura di Bortolini la situazione produce una «totale illeggibilità del messaggio, dove veniamo invitati a essere noi stessi, ma fino a quando non raggiungiamo un limite che però non ci viene detto».

È così, quindi, che una performance artistica può diventare un crimine, contrastando con l’illusione di assoluta libertà spinta dai media e da personaggi come Ferragni.
Tutto ciò, però, rivela un problema serio con il simbolico. «Viviamo in un contesto in cui tutto diventa narrazione ed immagine, come se la realtà non esistesse – osserva Bortolini – ma al contempo accade anche il contrario, come se il simbolico non esistesse e perciò qualunque gesto potrebbe incorrere nella repressione».
In particolare, il rischio che ravvisa il sociologo è che nella “scala della violenza” tutto venga equiparato, come se uno slogan o un manichino esposto in una manifestazione fosse un atto di violenza al pari di un pugno dato a una persona.

Bortolini si concentra infine sulla questione del “cattivo esempio”. Anche le performance, le canzoni, le esibizioni, secondo la morale vigente, dovrebbero prestare attenzione a non fare da cattivo esempio. «Come se, dopo l’esibizione di Blanco che tira calci alle rose ci fossero milioni di decerebrati che vanno ad uccidere le vecchiette, come se esponendo un manichino di Meloni a testa in giù ci fossero persone che decidono di andarla ad uccidere, come se dopo la canzone “Il bombarolo” qualcuno si persuadesse a mettere bombe».

ASCOLTA L’INTERVISTA A MATTEO BORTOLINI:

Il caso P38, la trap con un immaginario sugli anni di piombo equiparata a terrorismo

Molto più serio rischia di essere il caso dei P38, la band trap che l’anno scorso finì nell’occhio del ciclone dopo una performance in un circolo arci di Reggio Emilia. I testi delle canzoni della band evocano un immaginario degli anni di piombo, citando le Br ed altre espressioni forti che, unite al gesto della pistola P38 fatto con le mani dai musicisti che si esibiscono indossando un passamontagna, ha sollevato un polverone che ha investito anche la Regione Emilia-Romagna.

La vicenda, però, ha avuto uno strascico non da poco. La Procura di Torino, infatti, ha aperto un’inchiesta sulla band, ipotizzando il reato di istigazione a delinquere con l’aggravante del terrorismo. In caso di condanna, rischierebbero una pena di 8 anni a testa. Nelle ultime ore, inoltre, sui social è circolata una grafica che reagisce indignata alla richiesta di arresti domiciliari senza possibilità di comunicazione con l’esterno per i membri della band.
Per difendersi e sostenere le spese legali, i P38 hanno lanciato un crowdfunding che ha già raccolto 19mila euro sui 25mila richiesti. Ma soprattutto ha sospeso la propria attività musicale.

«Innanzitutto è incredibile che si dia così tanto peso alla cultura in Italia, che non è mai successo – commenta ai nostri microfoni Alberto Bebo Guidetti, musicista de Lo Stato Sociale – Addirittura si pensa che una band possa sconvolgere gli equilibri di un Paese. Dall’altro lato c’è l’incapacità di leggere quella che è un’opera di finzione. A me sembra incredibile che si debba perseguire una band per quello che fa, mettendosi le maschere e diventando dei personaggi».
Secondo questa interpretazione, secondo Bebo allora si potrebbe perseguire Marco Bellocchio per il film sul caso Moro o David Fincher per aver diretto “Fight Club” in cui c’è gente che si prende a botte.

«Se proviamo a pensar male – continua il musicista – credo che ci sia sotto traccia un doppio binario. Da un lato probabilmente il protagonismo di questa Procura, che evidentemente si annoia, dall’altro lato uno spostamento a destra forte nella lettura della cultura del Paese, che ha bisogno di far vedere che il tempo libero, il prodotto dell’immaginazione non può allontanarsi da certi schemi e soprattutto non deve proporre alcune possibilità che sono date dal principio di evasione».
Per Guidetti la musica, i film, il teatro e la letteratura sono un modo per raccontare anche delle alternative. «La P38 non è esattamente l’alternativa – osserva il musicista – ma fa un esercizio di fantasia secondo me molto interessante e secondo me questo preoccupa».

Ciò che spaventa di più Bebo è il silenzio del movimento culturale italiano nei confronti della vicenda che ha investito i P38. «Siamo stati una settimana a parlare di quel baraccone di Sanremo, dove noi abbiamo partecipato quindi lo dico con tutto l’amore e il realismo del caso – conclude Guidetti – E la cosa che succede ai P38 passa sotto traccia? Se non si fa argine assieme poi quelli lì fanno quello che vogliono. Se questo è un esempio cardinale, ce ne sono tanti altri più piccoli, come il writer, la piccola associazione che viene buttata fuori dagli spazi, l’attivismo che viene perseguitato. Non mi sembra che tra quelli che si scrivono sulle spalle “Pensati libera” ci sia una sincera preoccupazione alla libertà, quella vera».

ASCOLTA L’INTERVISTA A BEBO:

Due pesi e due misure: il negazionismo neonazista non è reato

I casi Blanco e P38 non si sono ancora trasformati in veri e propri processi. E, qualora comincino, non è escluso che si concludano con assoluzioni o pene minori. Tuttavia la gogna mediatica è già scattata e la censura che ne può scaturire è tutt’altro che un rischio ipotetico.
Diversamente è andata per un caso diametralmente opposto a quello dei P38. In questo caso la musica non c’entra, ma gli ingredienti della storia sono il negazismo della Shoah, il neofascismo e la sua apologia.

Lo scorso 13 gennaio, in particolare, è stata assolta Selene Ticchi, la militante neofascista di Forza Nuova che, durante il raduno dei nostalgici di Mussolini a Predabbio, indossava una maglietta con la scritta “Auschwitzland“. Accanto alla scritta con gli stessi caratteri di Disneyland, anche il disegno stilizzato del campo di concentramento che prendeva il posto del castello del parco divertimenti.
Ticchi è stata assolta perché “il fatto non sussiste”, dove per “il fatto” si intende l’apologia di fascismo punita dalla legge Mancino.