Guglielmo Pagnozzi, sassofonista e clarinettista, è attivo sulla scena del jazz italiano dai primi anni Novanta. Per l’album Gentle Heartquake, pubblicato il 23 febbraio 2023, si è fatto ispirare dai movimenti dell’inconscio, riunendo nel suo caratteristico sincretismo improvvisazione e composizione, generi diversi, ispirazioni musicali recenti e passate. L’abbiamo intervistato per farci raccontare il percorso che ha portato alla pubblicazione di questo progetto.

Guglielmo Pagnozzi: «Ho stanato le paure e i mostri dell’inconscio per trasformarli in gentili terremoti del cuore»

La carriera ecletticamente produttiva di Guglielmo Pagnozzi va avanti ormai da trent’anni: il suo sperimentalismo ha toccato una varietà di generi diversi, dalla musica popolare napoletana all’Hip Hop, dal jazz al rock e al funk, ha suonato in Italia e all’estero con personalità di spicco come Steve Lacy, Bob Moses, Roy Paci, Paolo Fresu (per citarne alcuni), ha affiancato all’attività musicale quella teatrale e quella didattica didattica, si sta dedicando ora alla composizione sonora per il cinema (nel progetto Homemovies100 in collaborazione con l’Archivio Nazionale del Film di Famiglia). Gentle Heartquake, pubblicato con l’etichetta di nicchia anticonformista Setole di Maiale, riunisce tutta la sua esperienza finora in quattro tracce che vanno a comporre una personalità completa e quasi un corpo fisico unico.

«Ha detto che per questo progetto ha stanato le paure e i mostri che abitano l’inconscio per trasformarli in gentili terremoti del cuore. Quali mostri ha dovuto stanare e come le è venuta l’idea per questo titolo?»

«Gentle Heartquake è un gioco di parole sul termine inglese “earthquake”, che significa terremoto. L’idea del titolo è arrivata in maniera spontanea durante l’elaborazione dell’opera, in quanto è stata un’opera che ho realizzato con un intento quasi terapeutico. Ero nel pieno di una crisi dovuta a un lutto molto importante appena vissuto, e ho sentito la necessità di chiudermi in uno studio a tirar fuori quello che sentivo ribollire dentro. In quel momento la mia condizione psichica mi permetteva di lavorare sulla musica che sgorgasse direttamente dall’inconscio, in quanto me lo sentivo a fiori di pelle tutti i giorni». Le paure e i mostri sono proprio quelli legati ai pensieri cupi avuti durante la crisi: «ne ho approfittato per sfogare questa emotività che mi travolgeva e darle una forma musicale. Portando le paure a una dimensione musicale, essa le ingentilisce, le propone in una versione più gestibile dalla nostra emotività. La classica funzione catartica dell’arte, insomma».

Il disco è il primo pubblicato a nome solo suo e non di un gruppo: ci racconta che il suo obbiettivo da bambino era quello di dedicarsi all’arte visiva (la sua grande fonte di ispirazione è il pittore Antonio Ligabue), un percorso diverso rispetto a quello dei musicisti, che obbligatoriamente devono lavorare in gruppo. Del sogno da bambino gli sono rimasti l’intento e l’intenzione di sviluppare una dimensione in solo: i musicisti con cui ha registrato l’album lavorano con lui da più di dieci anni, gli unici a conoscerlo così bene dal punto di vista musicale da permettergli questa esplorazione a partire dalle minime parti composte prima di arrivare nello studio di registrazione, che sono servite come indicazioni da cui partire per sviluppare un flusso di coscienza. Tuttavia, chiarisce, «rimane una musica vista dall’interno, è come la musica la vedo io da dentro. Non ci sono compromessi, aggiustamenti, non c’è nulla di sacrificato».

I brani Virus e Alone nascono nel 1993: il primo racconta della malattia d’amore, il secondo è ispirato all’omonima poesia di Edgar Allan Poe; Steve invece è dedicata alle personalità bipolari, tra cui include anche sé stesso. La traccia che dà il titolo all’album, invece, Gentle Heartquake, include anche un frammento di un discorso di Lenin all’Armata Rossa. Pagnozzi non ha mai nascosto le sue idee sulla società e sulla politica, ma questa non è una vera presa di posizione. La composizione (solo l’inizio) del brano nasce sulla sua porta di casa, mentre stava uscendo, un brano quasi violento nato durante un periodo di immersione nelle riflessioni derivate dalla lettura del Secolo breve di Eric Hobsbawm: Pagnozzi ci spiega che, a livello simbolico, l’estratto della voce originale di Lenin è più un omaggio al libro, provocato anche dall’utilizzo dello stesso discorso nella colonna sonora di Ottobre di Ėjzenštejn, ricomposta dall’artista nello stesso periodo.

Gli chiediamo infine se in programma ci sono delle esibizioni live per il progetto: risponde che no, non ce ne sono, dopo la ripartenza c’è ancora un po’ di confusione nell’organizzare le cose, anche se la speranza è quella di riuscire a suonare davanti a un pubblico. Noi intanto ci sentiamo pronti ad aspettarlo, e a venire scossi dalle “ruvide carezze” (come lui stesse le ha definite) della sua musica.

ASCOLTA L’INTERVISTA A GUGLIELMO PAGNOZZI: