Sedici anni fa veniva aperto il carcere di Guantanamo, luogo di torture, detenzioni illegali e morte del diritto internazionale. Obama aveva lentamente cominciato a svuotare la struttura per arrivare a chiuderla, ma con l’avvento di Trump si è bloccato tutto. 11 detenuti fanno causa al tycoon, ma lui è impegnato in insulti razzisti verso Paesi in giro per il mondo. L’intervista a Riccardo Noury di Amnesty International.

Era l’11 gennaio del 2002 quando il primo detenuto entrò nel carcere di Guantanamo. La struttura era funzionale alla sceneggiatura della “War on terror” dell’allora presidente statunitense George W. Bush, in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001. Approfittando dello shock mondiale per l’attentato, infatti, l’Amministrazione Bush impose il concetto che a meno libertà individuali e diritti sarebbe corrisposta più sicurezza.
E infatti ben presto quel carcere si trasformò nella tomba dei diritti umani, dove la tortura, l’umiliazione, la detenzione illegale in assenza di accuse e di processi erano il pane quotidiano.

“Bush confessò candidamente di aver approvato metodi di tortura come il waterboarding, il semiannegamento – ricorda ai nostri microfoni Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia – e grazie alla complicità di medici, psicologi e avvocati, Guantanamo è stato il laboratorio dove sono state sperimentate e perfezionate tecniche di tortura psicologica basate sui ‘punti deboli del nemico’”.

Complessivamente, dalla sua apertura ad oggi, sono state 780 le persone incarcerate a Guantanamo. Appena 8, invece, sono state le condanne emesse dalle commissioni militari: un fallimento vero e proprio anche dalla prospettiva giustizialista. L’istituzione carceraria, infatti, non è riuscita a dare risposta alle richieste di giustizia dei famigliari delle vittime dell’11 settembre.
In compenso, il mantenimento del carcere di massima sicurezza è costato circa 445 milioni di dollari all’anno.

Durante l’Amministrazione Bush furono scarcerati 500 detenuti e altri 197 furono liberati durante l’Amministrazione Obama, che si era impegnato a chiudere il centro di detenzione entro il 2010.
Una promessa non mantenuta, dunque, ma che è definitivamente tramontata con l’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca. Con l’arrivo del tycoon, infatti, l’iter per il rilascio dei detenuti si è bloccato.
Le persone ancora rinchiuse sono 41 e tutte sono là da oltre 10 anni. 23 di queste sono considerate talmente pericolose da meritare la detenzione a tempo indeterminate, mentre per altri 5 è stato disposto il rilascio da anni, ma non si sa dove mandarli.

Oggi si apprende che 11 detenuti ancora rinchiusi senza accuse e senza processo a Guantanamo hanno fatto a causa a Trump, accusandolo di essere islamofobo e puntando il dito contro i tweet in cui il presidente statunitense afferma che i detenuti della struttura non dovrebbero mai venire rilasciati.
Trump recentemente “ha chiesto che un uomo musulmano che ha ucciso diverse persone a New York venisse mandato a Guantanamo senza processo mentre non ha mai chiesto che venisse negato il processo ai killer bianchi delle stragi di massa”, si osserva nella vertenza dei detenuti di Guantanamo.

Trump, però, sembra indaffarato in tutt’altro. Ad esempio a provocare crisi diplomatiche in giro per il mondo. L’ultima del “American idiot“, come lo hanno definito i Green Day dedicandogli una loro canzone, è stata l’insulto razzista nei confronti di Paesi come Haiti, El Salvador e di un continente come l’Africa. “Paesi di merda“, li ha definiti il tycoon, affermando di non volere negli Usa immigrati di quelle nazionalità.

ASCOLTA L’INTERVISTA A RICCARDO NOURY: