Quanto accaduto a Greta Beccaglia, la giornalista sportiva palpeggiata in diretta tv da un tifoso a margine della partita Fiorentina-Empoli, è indubbiamente grave, ma molto del racconto giornalistico sulla vicenda presenta gli stessi problemi dell’aggressione subita: il sessismo.
Dalla minimizzazione del collega in studio ai titoli e agli articoli che dipingono l’aggressore come «una brava persona», fino all’utilizzo del solo nome della giornalista, senza il cognome, nelle ricostruzioni della vicenda.

Greta Beccaglia, il sessismo del giornalismo che ha parlato del caso

L’aggressione subita dalla giornalista ha presentato problemi nella ricostruzione giornalistica già pochi istanti dopo il fatto. Da studio, un collega maschio di Beccaglia le ha rivolto la frase «Dai, non te la prendere». Una minimizzazione che, in un secondo momento, il giornalista ha provato a giustificare come incoraggiamento nei confronti della collega, ma questa versione non ha convinto la rete televisiva locale stessa, che ha preso le distanze dalle parole del giornalista.

«La frase del collega è stato abbastanza scioccante, quasi quanto il gesto a cui abbiamo assistito», commenta ai nostri microfoni Mara Cinquepalmi, giornalista e presidente del Consiglio di Garanzia nazionale di Giulia (Giornaliste Unite Libere Autonome). L’associazione da anni lavora per il contrasto degli stereotipi di genere e contro il sessismo nel linguaggio giornalistico, anche organizzando corsi di formazione in merito.
Cinquepalmi cita un articolo di Giuliano Ferrara che in sostanza prende le difese del collega di Beccagli, sostenendo che il suo fosse «un invito alla stima di sè, un richiamo sotto telecamera a mostrare la superiorità di una persona e di una funzione professionale davanti a un tifoso imbirrato».

«Non si può giustificare anche il “non te la prendere” – osserva Cinquepalmi – Quella frase è complice tanto quanto la manata sul sedere».
Dunque la minimizzazione di quanto accaduto invece che una solidarietà chiara e netta nei confronti della collega che ha subito un’aggressione è un primo elemento degli errori del racconto giornalistico della vicenda.
La minimizzazione, insieme alla colpevolizzazione della vittima, è uno dei meccanismi tipici della violenza di genere che scaricano il peso e la responsabilità di quanto accaduto sulla vittima.
«Nel Testo Unico della deontologia del giornalismo – ricorda l’esponente di Giulia – si invita, ad esempio, a prendere le distanze in studio quando accadono fatti di razzismo o opinioni diffamatorie, altrettanto si dovrebbe fare in questi casi». Il pensiero di Cinquepalmi va anche all’impatto e al messaggio che una minimizzazione producono agli occhi dei telespettatori.

Un secondo problema del racconto dell’aggressione da parte del giornalismo italiano riguarda la rappresentazione del molestatore. «Certi titoli questa mattina fanno passare il molestatore come una brava persona – sottolinea Cinquepalmi – Ad esempio un quotidiano prende il virgolettato della compagna dell’uomo e dice: “È un brav’uomo, un papà speciale, è un burlone ma non un violentatore”».
Anche in questo caso ci troviamo di fronte a meccanismi tipici della violenza di genere, quando il giornalismo si affanna a dimostrare che l’autore della violenza nella vita di tutti i giorni è una brava persona.

Un terzo elemento riguarda l’appellativo con cui la giornalista è stata nominata negli articoli e nei resoconti della vicenda. In moltissimi casi, infatti, è stato utilizzato solo il suo nome, Greta, omettendo completamente il cognome. Un tono che può sembrare amicale, ma che in realtà, sottolinea Cinquepalmi, racconta molto del paternalismo nelle redazioni. «Ricordo che per mesi le cooperanti rapite anni fa venivano nominate solo per nome, “le due Simone” – ricostruisce l’esponente di Giulia – Lo vediamo piuttosto di frequente, come se fosse lecito chiamarci soltanto per nome».
Se ci fermiamo un attimo a pensare, nessuno nomina Mentana come «Enrico» o Sallusti come «Alessandro». L’utilizzo del solo nome è un implicito disconoscimento del ruolo delle professioniste del giornalismo.

Come risolvere il problema?

Se il giornalismo è ancora impregnato di sessimo, quali possono essere le soluzioni? Secondo Cinquepalmi si passa inevitabilmente per la formazione dei giornalisti e delle giornaliste.
«Da quando è entrata in vigore la legge sulla formazione obbligatoria noi di Giulia organizziamo corsi di formazione in tutta Italia contro gli stereotipi di genere – spiega la presidente del Consiglio di Garanzia dell’associazione – Ricordo che durante i primissimi corsi c’erano molte resistenze ad utilizzare la parola “femminicidio”, mentre ora c’è più consapevolezza. Certo, c’è ancora molto lavoro da fare».

ASCOLTA L’INTERVISTA A MARA CINQUEPALMI: