La narrazione mediatica attorno al Green Pass è polarizzata tra No Vax e Sì Vax, ma la realtà è un po’ più complessa di come viene rappresentata sui giornali e nelle televisioni. Se qualcuno polemizza sugli effetti collaterali del vaccino, assai poco si discute degli effetti collaterali del Green Pass stesso che, in diverse realtà, sta producendo l’aumento dei carichi di lavoro per chi è in regola.
Per lunedì a Bologna Cgil, Cisl, Uil, Faisa e Ugla hanno proclamato lo sciopero degli autobus e tra le ragioni della protesta c’è anche «la gestione della fase di introduzione dell’obbligo del Green pass e dei riflessi che questo ha portato sull’organizzazione del lavoro». In particolare tra gli autisti Tper si è registrato «un forte incremento del lavoro da parte dei colleghi presenti i quali si sono resi disponibili ad effettuare pesanti turni anche durante le giornate di riposo».
Green Pass, gli effetti collaterali del certificato e una normativa lacunosa
Per la forte carica ideologica che ha assunto il dibattito pubblico italiano è facile prevedere che il dito venga puntato contro i lavoratori che non si vaccinano e non hanno intenzione di effettuare tamponi. Per loro c’è la sospensione non retribuita dal lavoro, ma la loro assenza produce dei contraccolpi tra chi rimane operativo e deve comunque garantire il servizio. Ed è un dato incontrovertibile che, se le aziende non provvedono a rimpinguare le fila della forza lavoro, il peso ricade sui lavoratori che, avendo il Green Pass, rimangono attivi nell’azienda.
Le conseguenze sono evidenti: maggiori carichi di lavoro, minor tempo libero, più stress, ma anche maggiori rischi per la sicurezza, specie se si parla di attività come il trasporto pubblico.
Nella normativa che ha introdotto il Green Pass, il D.L.127/2021, non è prevista alcuna forma di tutela per chi rispetta la legge. Tutto è incentrato sull’importante questione sanitaria, ma il legislatore evidentemente non ha calcolato gli effetti collaterali dell’introduzione dell’obbligatorietà della certificazione verde sui luoghi di lavoro.
Se tra i lavoratori il numero di chi sceglie di non vaccinarsi né effettuare tamponi è rilevante, le conseguenze sull’attività, sia essa di tipo produttivo o l’erogazione di servizi, è inevitabile. E le conseguenze cominciano a farsi sentire.
Le contraddizioni generate dal Green Pass nel settore dei servizi pubblici sono sanabili sono in tre modi diversi. Da un lato riducendo il servizio stesso e in questo senso è andato l’annuncio di Tper dello scorso ottobre, quando ha detto che avrebbe rimodulato gli orari e la frequenza delle corse dei propri bus. In altre parole: un taglio al servizio di cui sono cittadini ed utenti a farne le spese.
Dall’altro c’è proprio l’aumento dei carichi di lavoro del personale attivo, ma la normativa sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro stabilisce dei tempi precisi tra un turno e l’altro e il rispetto di giornate di riposo. Secondo quanto riportato dai sindacati, dunque, aziende come Tper stanno violando la normativa.
C’è però una terza opzione che non viene mai presa in considerazione né evocata: l’assunzione di nuovo personale munito di Green Pass che sostituisca quello sospeso. Una possibilità che resta in capo alle imprese, che fino a questo momento si sono mostrate reticenti per non dover ricorrere ad esborsi.
Va detto che in alcune situazioni e per alcune mansioni non è così così facile e immediato sostituire il personale. Con molta probabilità i nuovi arrivati dovrebbero essere formati e spesso il periodo per cui è prevista la loro sostituzione è così esiguo che l’investimento non sarebbe proficuo. Così si sceglie, ancora una volta, di scaricare sui lavoratori il peso della situazione.
Mentre in Italia si discute di “Super Green Pass”, trovata mediatica per ipotizzare soluzioni di fronte al nuovo aumento dei contagi, fuori dalla contrapposizione ideologica occorrerebbe sanare le problematiche generate dall’introduzione della certificazione verde su chi, rispettando la legge, si trova a pagarne le conseguenze. Non è possibile che, in questo Paese, anche la salute dei lavoratori e delle lavoratrici – che non riguarda solo il Covid, ma anche la sicurezza sul lavoro e i tempi di vita – debba sempre essere subordinata agli interessi economici e ai profitti delle aziende.