Esce oggi in libreria “La trama alternativa. Sogni e pratiche di giustizia trasformativa contro la violenza di genere” (Minimum Fax), il libro di Giusi Palomba.
L’autrice interviene su un tema delicato come la violenza di genere con un approccio laterale, alternativo appunto alla narrazione che il fenomeno ha assunto nell’opinione pubblica, spesso schiacciata in una polarizzazione tra negazionismo e giustizialismo.
Il fulcro della riflessione sta nell’aggettivo “trasformativa”, perché la rottura della spirale rappresentata dalla violenza di genere non è tanto la pena, ma la trasformazione degli autori. Un investimento assai più proficuo in prospettiva.

Violenza di genere, la giustizia trasformativa del femminismo anticarcerario

Il libro racconta un percorso compiuto dall’autrice stessa, che si è trovata ad essere la migliore amica di un uomo che ha agito violenza di genere. L’appartenzenza di Palomba ad una comunità le ha dato gli strumenti per avvicinarsi a correnti del femminismo antipunitivo e anticarcerario, insieme a pratiche non istituzionalizzate di gestione dei conflitti e degli abusi all’interno dei gruppi.
«È il mio punto di vista, non parlo a nome di tutti i membri della comunità», precisa Palomba, anche per spiegare che la giustizia trasformativa non rappresenta una sua postulazione, ma una serie di pratiche già implementate in alcune comunità.

L’assunto da cui si parte riguarda ciò che è oggi la giustizia punitiva e ciò che rappresentano oggi istituzioni come il carcere. «Non tutti gli autori di violenza finiscono in carcere, ci vanno solo quelli che rispondono a un’idea funzionale alla società in cui viviamo e questo è un dato che non viene mai preso in considerazione», osserva l’autrice. Un’idea che ha anche a che fare con la classe sociale e la razza.
«Pratiche alternative al carcere e alla polizia – riflette Palomba – sono sempre viste come cose impossibili da praticare e la polarizzazione esiste anche perché non vediamo altre possibilità». Una parte di responsabilità nella creazione di questo schema dicotomico, per l’autrice, è anche del femminismo mainstream, «che è consapevolmente o inconsapevolmente molto carcerario e che si limita a denunciare la violenza e rimane in quello spazio, senza pensare cosa comporti».

L’istituzione carceraria stessa, del resto, ha dimostrato in più occasioni di aver abdicato alla funzione rieducativa e a testimoniarlo sono i dati sulla recidiva e sulla reiterazione dei reati, anche nell’ambito della violenza di genere.
La giustizia trasformativa, invece, cambia prospettiva e punta appunto ad una trasformazione degli individui in relazione al gruppo di cui fanno parte. «Io la definisco come un patto di fiducia che si instaura in una comunità – spiega Palomba – Tutte le persone che fanno parte di questa comunità, qualunque gruppo che abbia come obiettivo quello di ragionare sulle disuguaglianze nella società decide di introdurre nelle proprie pratiche una risoluzione diversa sia dei conflitti che degli abusi».

Per funzionare, quindi, la giustizia trasformativa deve essere frutto di un’elaborazione collettiva di una comunità solida, specialmente quando si approccia ad un fenomeno come la violenza di genere, dove il sommerso e la paura di denunciare hanno dimensioni significative.
«In genere si comincia attivando dei gruppi di uomini che lavorano sul consenso, sulla sessualità e sul proprio impatto nel mondo – sottolinea l’autrice – L’obiettivo è quello di diffondere il più possibile una cultura della responsabilizzazione».
Nel libro Palomba racconta esperienze dove gli uomini lavorano in modo collettivo, anche perché oggi il definirsi femminista può rappresentare per alcuni uomini uno strumento per acquisire prestigio sociale. Il lavoro collettivo degli uomini serve a favorire un accompagnamento alla responsabilizzazione tra pari, senza giudizio o superiorità.

In questo senso la giustizia trasformativa funziona anche come riduzione del danno e potenzialmente si presenta come più efficace nell’impedire che si reiteri la violenza.
«I processi di responsabilizzazione – sottolinea Palomba – lavorano tantissimo sull’espressione della violenza e della rabbia e dei sentimenti più brutti, anche di quelli che non vogliamo vedere. Si va alla radice del problema e si aprono altri mondi, perché le persone che hanno utilizzato la giustizia trasformativa hanno avuto la possibilità di riappacificarsi col proprio vissuto. Non c’è sempre la riappacificazione con le persone che hanno agito la violenza, ma si ottiene giustizia tramite una responsabilizzazione collettiva».

“La trama alternativa” verrà presentato anche a Bologna il prossimo 4 maggio, in un incontro alla Libreria delle Donne a cui, oltre all’autrice, parteciperanno anche Antonia Caruso e Gloria Baldoni.

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