Non esistono femminicidi pietistici: Silvana Bagatti è stata uccisa dal patriarcato” è il titolo del comunicato con cui il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna ha evidenziato il modo fuorviante con cui la stampa ha narrato la morte della donna uccisa mercoledì scorso dal marito a Parma.
Titoli e sottotitoli di alcuni quotidiani riportano che “lei era ammalata, lui era disperato, esaurito” e “è la cronaca dell’ennesimo dramma familiare”.

Per questo i centri antiviolenza si sono indignati. «Sono state fatte subito ricerche sul passato della donna e del marito, però nessun riferimento al femminicidio», ha commentato Samuela Frigeri, presidente del centro antiviolenza di Parma. «Ci ha colpite lo spostamento del focus dalla gravità del gesto, un uomo si è arrogato il diritto di decidere se una donna potesse vivere o no, alla ricerca di possibili cause circostanziali». Su queste ha aggiunto «comunque non esistono motivi che portino una persona a ignorare la libertà altrui di decidere della propria vita».

Gli errori e gli stereotipi nella narrazione dei femminicidi sulla stampa

«Dopo più di sei mesi dall’ultimo caso di femminicidio nel parmense, riscontriamo gli stessi problemi nella narrazione di questa notizia – il femminicidio di mercoledì», si legge nel comunicato sulla morte di Silvana Bagatti, 76 anni, per mano del marito.
La mattina lui chiama il 112 e confessa il gesto. Il fatto viene riportato dai giornali. Esce la notizia, ma su alcune pagine non compare la parola femminicidio. Alcune testate scrivono “lei era ammalata, lui era disperato, esaurito” e “è la cronaca dell’ennesimo dramma familiare”. Come se fossero cause giustificanti del gesto.

«Ma non ci sono giustificazioni, tanto meno circostanziali. In primo luogo perché persona ha ignorato il diritto di un’altra a decidere della propria vita e poi perché accostare all’uccisione di una donna alla testimonianza di chi dice “lei era malata, lui era disperato” mostra il tentativo di cercare un perché che disvela un problema che ha radici più profonde, di tipo culturale riassumibile nella frase: “Lei era allettata da tempo, lui se ne doveva prendere cura e non ha retto”. Questa da una parte mostra le limitazioni alla vita di chi fa una lavoro di cura, le difficoltà, dall’altra sottintende che lui come maschio e culturalmente non abituato ad accudire un’altra vita potesse soffrire un’esistenza limitante, “è scusabile”, fino a compiere un gesto estremo come l’assassinio. Probabilmente questo non sarebbe stato fatto passare a una donna con altrettanta facilità», ha chiarito Frigeri.

Emerge quindi un problema di immaginario comune e condiviso che spesso, come in questo caso, viene usato per rendere accettabile alcuni comportamenti per quanto estremi. «Le radici sono culturali. La causa è il pensiero patriarcale dominate. Tant’è che per nominare questo fatto non si è usato il sostantivo femminicidio. Il motivo? Perché per femmina nel pensiero maschile dominante si intende una donna con determinati requisiti tra questi la salute e l’età – non superiore ai settant’anni – e a Parma è stata uccisa una donna che non rispettava questi criteri», ha spiegato Frigeri.

«Un altro modo tossico di riportare i femminicidi è partire dalla voce di chi ha agito l’uccisione», ha detto riferendosi alla morte della vigilessa di Anzola Emilia di ieri. «Lui avrebbe detto che lo sparo mortale “gli è partito” come se non ci fosse la volontà di farlo», ma da quanto emerge dalla cronaca circolano voci su una crisi nella coppia e che lei volesse lasciare il compagno. «Alcuni titoli e sottotitoli accostando la notizia dell’uccisione della donna alle dichiarazioni di discolpa dell’uomo è come se insinuassero che l’errore, un raptus passionale, fosse una spiegazione plausibile o accettabile», ha concluso.

ASCOLTA L’INTERVISTA A SAMUELA FRIGERI: