“Le nozze di Figaro” in scena al Comunale Nouveau di Bologna fino al 23 maggio viene centrato dal giovane regista Alessandro Talevi sul potere del denaro di riscattare i deboli dalla subalternità e al contempo sulle pretese dei ricchi di sfruttare e ricattare i sottoposti, anche sessualmente, in virtù della propria posizione. Ben diretta l’orchestra del Comunale dal Direttore Martijn Dendievel, per la prima volta sul podio a Bologna. Travolge il pubblico il genio mozartiano per la gaiezza musicale e per la capacità di elaborazione drammaturgica in cui non si intravede nemmeno una falla, tutto risulta, anche all’occhio e all’orecchio dei contemporanei, organico e coerente. Le Nozze si confermano essere una macchina teatrale perfetta a cui ridare vita, come è occorso in questa occasione, con buone voci, con un’esecuzione musicale gioiosa e una regia attenta a restituire le differenti caratterizzazioni dei personaggi utilizzandole doti mimiche – attoriali dei protagonisti e delle protagoniste.

Stando a quanto scrive Clemente Fusero in “Mozart”, uscito nel lontano 1943 per le edizioni SEI di Torino, Mozart era ossessionato dall’idea di cavar fuori un’opera dal Matrimonio di Figaro di Beaumarchais, ma su quel testo esisteva un divieto di rappresentazione a Vienna da parte di Giuseppe II. La scrittura del libretto Mozart la propose a Lorenzo Da Ponte il quale riuscì a fare in modo di essere dispensato da altri impegni precedentemente assunti con un compositore spagnolo e in 6 settimane terminò le Nozze di Figaro lavorando a stretto contatto con il compositore. Riuscirono a sfrondare la trama dagli elementi di satira politica incriminati dall’imperatore attivando una “trasfigurazione magica che converte in sogno, in favola perfettamente conchiusa e autonoma, un mondo reale, senza privarlo d’alcuno di quei tratti che compongono la sua fisionomia storica”.

Mozart dunque ottenne il permesso di rappresentazione della sua opera invitando l’Imperatore alle prove così che si sincerasse della non pericolosità sociale della messa in scena, tuttavia riuscì a offrire, finanche a noi, un affresco del suo tempo e delle diverse classi sociali di cui si componeva l’allora società rimanendo dentro i confini di una favola amorosa, grazie a una trama e a un tessuto verbale ricco di arguzie, di frivolezze, di ironia e malizia, con punte di dolcezza e leziosità e momenti di malinconia. Mozart e Da Ponte son riusciti a narrare in un solo libretto, tutte le età della vita, tutti i differenti approcci all’amore, alle gioie e ai dolori che comporta, passando gli elementi della vita attraverso quello che Fusero chiama “il filtro della spiritualità mozartiana” che ha liberato l’opera da quanto poteva rendere grave e torbida la narrazione.

Susanna e Figaro sono una coppia tra giovinezza e maturità in procinto di sposarsi, il Conte e la Contesa rappresentano una coppia sposata da tempo in cui l’uomo cerca nuove amanti continuamente senza curarsi più della consorte, lei si strugge perché non è più oggetto d’attenzione amorosa da parte del marito traditore eppure è continuamente soggetta alla sua gelosia e al suo controllo. C’è poi il poco più che adolescente Cherubino che sfarfalla da un letto ad un altro fino a quando non viene mandato in guerra dal Conte stufo di trovarselo tra i piedi a rovinargli i tentativi di seduzione delle donne disponibili.

Le risate scattano ancora oggi fragorose perché si reggono proprio su tutti quelli che oggi chiamiamo stereotipi sul maschile e sul femminile da tutti e tutte conosciuti che fanno sì che, come dice Macellina nel quarto atto, le donne difendano il loro “povero sesso da questi uomini ingrati a torto oppresso” e al contrario gli uomini godano a sentire Figaro appellare le donne come ” streghe che incantano per farci penar, sirene che cantano per farci affogar” e via discorrendo. Ovviamente non possiamo fare un processo a Mozart purgando il libretto perché non politicamente corretto, secondo l’attuale sensibilità, come si sta tentando di fare ultimamente su testi di Agatha Christie e di Roald Dahl, possiamo ridere serenamente, senza alcuna censura, possiamo godere della tessitura orchestrale così ricca e piacevole, ricordandoci poi di contestualizzare riservandoci, in altra sede, di contrastare quegli stessi stereotipi citando magari proprio Mozart come testimone della loro persistenza nel nostro immaginario.

Una volta superato l’ostacolo della questione, dibattuta recentemente anche su reti radiofoniche nazionali, a proposito di una messa in scena del “Così fan tutte“, della misoginia mozartiana, dopo esserci concessi e concesse il diritto di goderci la sua musica teatrale e ridere quanto più ci piace alle battute sull’uno e sull’altro sesso, possiamo ragionare sulle soluzioni adottate da questa messa in scena per far sprigionare l’ironia che trasuda dalla partitura e per rendere al meglio la caratterizzazione dei personaggi ideati d Mozart e Da Ponte.

Per suggerire la persistenza dei meccanismi sociali narrati dalle Nozze avvicinandoli alla nostra realtà, mantenendo pur tuttavia vaga l’epoca, i costumi scelti sono sicuramente novecenteschi ma con varie ispirazioni, non databili tutti in un comune decennio, così da rientrare anche in clima fiabesco senza tempo. Il ‘700 è citato nelle proiezioni in cui vediamo giovanette con acconciature d’epoca tra candide lenzuola in languidi atteggiamenti, anche accompagnandosi con altre giovinette, o la duplicazione di Figaro che sfida il Signor Contino prima con la sua ossessiva e plurima presenza, poi anche con una spada laser.

il motto “l’argent fait tout” compare proiettata sul sipario già prima che lo spettacolo abbia inizio e la regia insieme alla capacità attoriale dei cantanti e delle cantanti riescono a mettere ben in evidenza la pretesa da parte del Conte dello ius primae noctis nonostante egli stesso formalmente lo abbia abolito come segno di adesione alla modernità. E’ ben chiaro come il conte subordini la donazione di un letto e d’una stanza, poi di una dote o di un bell’anello alla capitolazione della onesta Susanna alle sue voglie. Marcellina pretende d’altra parte da Figaro o la restituzione di una grossa somma di denaro, o di essere sposata dall’affascinante servo (prima che si sveli che è suo figlio).

Così il letto, che nel corso del duetto iniziale tra Susanna e Figaro apprendiamo che il Conte intende donare alla coppia per le nozze, compare in scena molto prima che venga menzionato, ad apertura di sipario, insieme ai servitori e a Susanna, come oggetto simbolo del tentativo di ricatto sessuale sui due sottoposti. Il coro di contadini, invece di recare reali fiori per le nozze è vestito a fiori. Coristi e coriste compaiono in abiti da cerimonia di varie fogge, esageratamente floreali. Un altro elemento reso visivamente è quello della purezza dell’amore di Susanna per Figaro e della Contessa per il suo legittimo consorte, nonostante le gelosie inutili dei due uomini: nel finale del quarto atto nella scena del giardino, compaiono due grandi cigni sul fondo, per l’appunto comunemente simbolo di purezza, nobiltà e coraggio.

Ha particolarmente colpito l’attenzione l’esplicitazione, attraverso le videoproiezioni, dell’interrompersi, per il giovane Cherubino, delle gioie della vita, allorquando viene inviato dal Conte in guerra come ufficiale nel suo reggimento. Mentre Figaro, ovvero il bravissimo Davide Giangregorio, canta la celeberrirma e apparentemente scanzonata “non più andrai farfallone amoroso”, compaiono sulle pareti della scenografia immagini di desolanti paesaggi di morte e distruzione, incendi provocati da bombe, lampi di ordigni esplosivi. Le immagini ci fanno letteralmente vedere quello che Figaro canta (“per montagne, per valloni, con le nevi e i sollioni, al concerto dei tromboni, di bombarde, di cannoni che le palle in tutti i tuoni all’orecchio fan fischiar”), ci fa ben assimilare come come gli squilli di trombe sul finale siano trombe guerresche che chiamano il povero Cherubino alla “gloria militar”, trascinando tutto l’uditorio, per un momento, in un clima di reale guerra guerreggiata, lontano dagli scherni d’amore.

Cherubino è interpretato, en travesti, dall’applauditissima mezzosoprano Cecilia Molinari, perfettamente in parte, deliziosamente goffa nel camminare con scarpe femminili quando viene travestita da donna per un intrigo atto a burlare il Conte. Molinari riesce a rappresentare un giovane che brucia d’amore, incapace di trattenersi dal gioco della seduzione e altresì capace di parla d’amore con se stesso, quando non ha altri oggetti d’amore a portata di mano.

Vito Priante, nei panni del Conte d’Almaviva risulta, per le movenze e l’altezza, aiutato anche dai costumi, un pò Pantalon dè Bisognosi e un pò Don Giovanni, un ricco seduttore che vuole tenere tutti e soprattutto tutte le donne, sotto il suo dominio, usando il denaro come leva e al contempo con allettanti promesse d’amore, finendo per essere gabbato e deriso e ricondotto al tetto coniugale, riscoprendo bella e desiderabile la sua stessa moglie. Priante è molto bravo a condurre il pubblico a ridere di lui, della sua mentalità, dei suoi gesti, della sua gelosia e delle assurde pretese.

Mariangela Sicilia non delude nei panni dell’elegante e malinconica Contessa d’Almaviva, con la sua voce giunge come una carezza a ricoprire la parte romantica della commedia per musica, quella parte affidata nella commedia dell’arte ai personaggi non in maschera. In particolare nel terzo atto ha una scena a lei dedicata, e molto applaudita, di grande intensità drammatica accompagnata da secchi colpi d’archi che rimarcano la sua ansietà che si trasforma in lamento accompagnato da lamentosi fiati.

Eleonora Bellocci interprete di Susanna, presenta il suo personaggio, muovendosi in scena, come una donna di garbo, una che riesce a tenere a bada gli uomini e sa scegliere quello che davvero vuole disfandosi, con intrighi, degli altri. Serva amorosa, ma avveduta, una caratterizzazione che sta tra l’alto e il basso, tra l’antica Colombina e la scaltra Mirandolina, ma anche tra una giovane amorosa e una saggia padrona. Il suo costume è fin dall’inizio dello spettacolo bianco, da subito la vediamo col velo in testa, siamo certi che otterrà quello che ha deciso che sia suo. Si mantiene modesta al principio e solo alla festa di nozze indosserà un più sontuoso abito da sposa a coronare il suo successo fingendo che il suo “sì” sia l’esito della sua docilità. Vocalmente molto convincente, squillante, piena di energia.

Efficace è anche la caratterizzazione di Marcellina ad opera di Laura Cherici e di Bartolo interpretato da Francesco Leone, grande effetto comico grottesco.

Complessivamente un cast affiatato, divertito e divertente, capace di dare l’idea della follia degli inganni amorosi e anche del perpetuarsi di eterni soprusi dei più forti sui più deboli senza uscire dal clima fiabesco, dall’allegria di una festa di nozze. Con leggerezza la messa in scena allestita da Talevi evoca la guerra e passa a volo d’uccello su temi scabrosi come gli abusi sessuali, l’amore tra donne, il ricatto, senza far perdere il sorriso agli spettatori e spettatrici.

In platea si sono sentite grasse risate, si sono visti, alla rappresentazione del sabato pomeriggio, molti giovani, il clima generale alla chiusura di sipario era di grande distensione, applausi convinti a scaldare la fredda giornata di maggio.