La notizia di ieri che riguarda il taglio del 30% delle forniture all’Italia da parte di Gazprom, la compagnia energetica russa, aumenta la preoccupazione per l’approvvigionamento di gas per far fronte al prossimo inverno. Il governo tenta ancora di rassicurare, ma lo stesso ministro Roberto Cingolani ha definito «delicata» la situazione. La strategia che lo stesso ministro e l’esecutivo hanno adottato per affrontare la necessità di sostituire il gas russo, però, non è ancora molto chiara. Di sicuro negli ultimi mesi il governo italiano è stato molto attivo in quella che Francesco Sassi, ricercatore di Rie e dell’Università di Pisa, definisce «diplomazia energetica».

L’Italia infatti ha stipulato o rinnovato accordi con altri Paesi esportatori di gas naturale, come l’Algeria, l’Angola, il Qatar e l’Azerbaijan. Altri accordi dovrebbero arrivare, come quelli col Mozambico, l’Egitto o Israele.
Vista la richiesta di un aumento di volumi, ci sono Paesi, come ad esempio l’Algeria, che vogliono però rivedere le condizioni contrattuali, aggiustando al rialzo i prezzi, «in linea con i mercati internazionali che vedono il prezzo del gas in rialzo su tutte le piazze e quella europea al momento è decisamente la più cara», osserva Sassi.

Taglio del gas, qual è la strategia del governo italiano?

Il ricercatore sottolinea però che è fantascienza pensare che sia possibile in pochi mesi reperire fornitori che sopperiscano al taglio del gas russo. Le strategie che riguardano tanto il gas quanto il petrolio, infatti, sono da pensare nel medio e lungo periodo. Soprattutto considerando che le forniture di Gazprom all’Italia viaggiano sui 30 miliardi di metri cubi all’anno.
Ciononostante la politica del governo italiano, esplicitata ieri da Cingolani, sembra orientata ad ottenere un’accelerazione su due fronti. Da un lato la realizzazione di nuovi rigassificatori che possano raccogliere il gas liquefatto che arriva via mare. Dall’altro l’aumento degli stoccaggi.

«Accelerare gli stoccaggi e la costruzione di rigassificatori vuol dire una cosa sola: aumentare continuamente la domanda e gli approvvigionamenti dall’estero – osserva il ricercatore – e ciò significa pagare molto il gas in un mercato globalizzato. I Paesi che sono già nostri fornitori venderanno gas a noi soltanto se saremo capaci di pagarlo di più di altri concorrenti».
Il rischio, quindi, è che si inneschi una competizione molto dispendiosa tra diversi Stati, in assenza di una politica comune almeno europea. Proprio l’Ue negli ultimi tempi ha proposto una piattaforma comune di acquisto di gas naturale ma, rileva Sassi, «attualmente non sta gestendo alcun volume perché le diverse compagnie che fanno capo ai governi influenzano le strategie».

Le aziende che nelle ultime settimane hanno aumentato gli stoccaggi lo hanno fatto sotto incarico del governo italiano, ma anche e soprattutto grazie a fondi messi a disposizione dal governo.
«Quanto ci costa tutto ciò?», è la domanda che si pone il ricercatore, che sottolinea che attualmente paghiamo le forniture di gas cinque volte quanto le pagavamo l’anno scorso.
Alla fine del mese la Commissione europea dovrà presentare un piano continentale per la riduzione complessiva della domanda di gas, che però sta già avvenendo perché con gli attuali prezzi molti consumatori stanno cercando di cambiare fonti energetiche o, per quel che riguarda l’industria, alcune filiere rallentano o sospendono la produzione.

Il costo individuato da Sassi, però, non è solamente economico. Altrettanto salato sarà il prezzo ambientale, «perché lo stop al gas naturale fa sì che la risposta più immediata sia l’utilizzo di altri combustibili fossili, quindi maggiori immissioni e diversi passi indietro nei confronti del processo di transizione energetica a cui sia la Commissione europea che il nostro governo hanno dedicato molte parole nei mesi e negli anni scorsi».

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