Sono passati cinque anni esatti dal disastro di Fukushima. Ma cosa è cambiato da allora? Secondo Greenpeace, “La situazione è ancora molto critica e lo rimmarrà ancora molto a lungo”.

A cinque anni dall’incidente nucleare di Fukushima, circa 100mila persone non sono ancora tornate a casa. Se non bastasse, secondo il rapporto di Greenpeace le zone contaminate sono molte di più di quelle che attualmente sono state evacuate. “Il problema principale è che il governo vuole far rientrare la popolazione nelle proprie case e cerca di dare l’idea che tutto sia tornato alla normalità – sottolinea Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia – ma questo non è vero. Tanto che il governo vorrebbe innalzare di 20 volte le soglie (di radioattività tollerabile, ndr) nelle aree contaminate per riclassificarle come abitabili”.

La situazione dunque rimane critica, e secondo le stime di Greenpeace lo resterà molto a lungo. Alcune radiazioni, infatti, impiegheranno secoli a scomparire, e le aree contaminate dal plutonio resteranno radioattive per migliaia di anni.

Non è solo il livello di sicurezza ambientale ad essere cambiato in Giappone. Anche l’opinione pubblica è cambiata drasticamente a seguito dell’incidente. Come spiega Onufrio, “L’opinione pubblica in Giappone oggi è in maggioranza antinucleare. Dei 48 reattori che funzionavano prima dell’incidente in questo momento 3 sono in funzione, su un totale di 4 reattori autorizzati, ma una corte locale ha chiesto che anche questi vengano chiusi. Naoto kan, il premier in carica al momento dell’incidente, è stato recentemente in missione sulla nave di Greenpeace, la Raimbow Warrior, che al momento sta eseguendo delle operazioni di campionamento in mare a due chilometri dall’impianto per completare il quadro conoscitivo indipendente”.

A cinque anni dall’incidente di Fukushima non è facile stimare con precisione i danni. Ma una cosa è chiara, almeno secondo il portavoce di Greenpeace: “È una ferita che rimarrà aperta per moltissimo tempo, e che si traduce nell’inabitabilità di aree molto estese”.

Anna Uras