Giovanni Paglia, deputato di Sel, ha presentato una legge per impedire alle aziende che lavorano col pubblico di finanziare la politica. Il tema è esploso dopo il caso dell’inchiesta sulla Cpl Concordia e il sostegno economico a politici di tutti gli schieramenti. Merola: “Accetterò solo i soldi di chi lo dichiarerà pubblicamente”.

Sotto le Due Torri si continua a discutere di etica e di modalità di finanziamento alla politica. Se la legge approvata nel gennaio del 2014 ha cambiato le regole, aprendo al “modello americano”, l’inchiesta per corruzione che coinvolge la coop Cpl Concordia di Modena mette in evidenza tutti i limiti di un sistema di finanziamento ai partiti basato in larga parte sul sostegno di privati.
La cooperativa, infatti, era solita finanziare le campagne elettorali di diversi politici, appartenenti a partiti di diverso colore. Dal Pd a Fratelli D’Italia, fino a Forza Italia: sono in molti i candidati ad aver beneficiato del sostegno della società, i cui dirigenti sono finiti sotto inchiesta per corruzione nell’ambito dell’indagine della Procura di Napoli sugli appalti per la metanizzazione di Ischia.

Nel Pd bolognese si è registrata una vera e propria spaccatura, con, da un lato, la sindaca di San Lazzaro di Savena, Isabella Conti, che ha restituito i soldi ricevuti dalla Cpl nel maggio scorso, nella campagna elettorale per le amministrative, e dall’altro il sindaco di Bologna, Virginio Merola, che non ha fatto un passo indietro, spiegando che quel finanziamento è avvenuto secondo la legge e che la Cpl Concordia è composta da 1800 lavoratori ai quali non si può attribuire nessuna macchia.
Il punto, però, non è tanto sulla legittimità o meno del finanziamento, ma sull’opportunità politica che un candidato riceva finanziamenti da un’impresa che lavora con la pubblica amministrazione. Il rischio di alimentare sospetti sull’assegnazione di appalti e commesse è molto alto.

Incalzato dai giornalisti, Merola ieri mattina ha detto che nella campagna elettorale per le amministrative del 2016, dove si ripresenterà come candidato sindaco, non accetterà finanziamenti da soggetti che non vogliano rendere pubblico il loro versamento. Questo nonostante la legge sulla privacy consenta di mantenere l’anonimato e in virtù di un principio di trasparenza che possa fugare ogni sospetto.
Argomentazioni e provvedimenti che, per altre forze politiche, non risolvono il problema alla radice, ovvero che il modello americano tradotto in Italia non funziona e crea zone d’ombra pericolose.

La pensa così Giovanni Paglia, deputato di Sel e primo firmatario di una legge sul finanziamento alla politica che vorrebbe modificare quella che ha cancellato – o sarebbe meglio dire ridotto – il finanziamento pubblico ai partiti.
Paglia propone di impedire a qualunque azienda che lavori con la pubblica amministrazione, sia essa fornitrice di servizi, vincitrice di gare o concessionaria di licenze, di poter finanziare partiti, esponenti politici o fondazioni ad essi vicine. Al contempo, il vendoliano propone di ripristinare una parte del finanziamento pubblico ai partiti, per superare l’ipocrisia secondo la quale la politica possa sopravvivere solo con iniziative di autofinanziamento.

“Quando fu approvata la legge sulla cancellazione del finanziamento pubblico ai partiti – spiega Paglia ai nostri microfoni – io fui fermamente contrario perché andava nella direzione del modello americano, che ha legalizzato le lobby e secondo il quale, in modo trasparente, se un petroliere finanzia una campagna elettorale, poi nessuno può dire nulla se quel politico approva provvedimenti in favore della lobby petrolifera“.
Un ragionamento che va stretto all’esponente di Sel, che inoltre contesta fortemente l’applicazione italiana di quel modello, dove il finanziamento non è reso pubblico, in virtù della legge sulla privacy, e i politici possono rispondere ad interessi che sono oscuri agli elettori.