Costruire la memoria della guerra nell’ex Jugoslavia nonostante le versioni ufficiali dei governi, spingere le giovani generazioni all’attivismo, allo studio della storia e alla fratellanza, impedire che le tracce lasciate dal conflitto vengano cancellate dalla retorica di chi è al potere. È quello che cerca di fare Youth Initiative for Human Rights, un’organizzazione gemellata con la Scuola di Pace di Monte Sole, che opera in territori ancora feriti.

Le cicatrici della guerra di metà degli anni ’90 non sono ancora completamente rimarginate, eppure nei Paesi dell’ex Jugoslavia c’è chi lavora per costruire la memoria in modo da non fomentare l’innesco di nuove tensioni, anche se la politica continua a strumentalizzare e, in alcuni casi, a soffiare sul fuoco.
È il lavoro quotidiano di Young Initiative for Human Rights (Yihr), un’organizzazione che fa parte dello stesso circuito internazionale della Scuola di Pace di Monte Sole, che opera in territori come la Bosnia ed Herzegovina, la Serbia, il Montenegro, la Croazia e il Kosovo.

Il lavoro che svolte l’organizzazione è particolarmente interessante perché, in una situazione in evoluzione, si occupa proprio di costruire la pace e la memoria del conflitto, senza però cedere a retoriche di parte o al compromesso, ma affrontando nel dettaglio quello che è successo e le responsabilità delle atrocità della guerra.
Il target scelto da Yihr è quello delle giovani generazioni. Lo strumento principale è quello dell’educazione informale, poiché quella formale non dà la possibilità ai ragazzi di unirsi e creare le basi su cui fondare un futuro migliore. “Stiamo cercando di dare loro molte informazioni – spiega ai nostri microfoni Alma Masic, direttrice di Yihr in Bosnia – che non possono ricevere nelle loro scuole e facoltà”.

“La parte più importante del nostro lavoro – spiega Masica – è collegata alla Giustizia di Transizione e alla conoscenza consapevole del nostro passato. Stiamo cercando di far conoscere ai giovani gli avvenimenti sui conflitti e sulle guerre, non solo in Bosnia Erzegovina, ma nella nostra intera regione. Noi pensiamo che solo i giovani che conoscono la storia del proprio Paese saranno in grado di prendere decisioni consapevoli in futuro, facendo tutto ciò che è in loro potere per garantire che queste guerre non si ripetano”.

Il contesto, quello dell’ex Jugoslavia, è piuttosto complesso e diverso rispetto ad altri Paesi che stanno cercando di affrontare un passato difficile. “Il nostro passato non è ancora nostro e lo stiamo ancora vivendo – osserva Masic – È ancora il nostro presente. Il modo in cui i conflitti terminarono qui in Bosnia Erzegovina, firmando un accordo, fece in modo che non ci fossero vincitori. Altre nazioni si sentirono sconfitte, ma il nostro popolo non si sentì così. La cosa triste è che non ci sono vincitori in questa guerra, che lasciò una tremenda devastazione nell’industria, nelle infrastrutture e nella nostra cultura. Molte persone fuggirono dal nostro Paese e per tutti questi motivi non riusciamo a trovare, come società, né un terreno né un obbiettivo comune per andare avanti e per parlare dei problemi del passato”.
Per la direttrice di Yihr Bosnia, quello di cui ha bisogno la gente è la consapevolezza e l’accettazione di quello che è successo e la rivitalizzazione dell’economia e delle infrastrutture.

La politica, però, non sembra aiutare. I politici stanno ancora usando il conflitto per spostare l’attenzione lontano dai punti davvero importanti per la rinascita.
“Ogni Paese tende a glorificare le proprie vittime e i propri eroi nazionali – osserva Masic – che per le altre Nazioni sono criminali di guerra. Solo cambiando la propria mentalità e dicendo ‘Ok, questo è quello che è successo. Dobbiamo andare avanti’ possiamo raggiungere la prosperità per la nostra società”.

In questo senso, le battaglie condotte da Yihr riguardano anche la dimensione simbolica, come accadde intorno alle “Rose di Sarajevo”, crateri lasciati dalla guerra che rischiavano di essere ricoperti e cancellati dalle istituzioni.
Grazie ad una mobilitazione, Yihr ed altre organizzazioni riuscirono a scongiurare la cancellazione di quei “monumenti reali” e a preservarli a memoria e a monito di quanto accaduto.