No muri, no blocchi, no accordi disumani. Erano questi i No che ieri hanno unito numerose associazioni umanitarie, tra cui Medici Senza Frontiere, Amnesty International e Terre des Hommes. La protesta di chi vorrebbe un’Europa migliore ha ottenuto forse meno risalto di quella degli antieuropeisti, ma merita una riflessione.
Alle celebrazioni per il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma non c’erano solo europeisti convinti, antieuropeisti e tanta polizia. C’erano anche moltissime associazioni della società civile italiana, buona parte delle quali impegnate attivamente nella gestione delle crisi umanitarie, a chiedere un’Europa diversa. Perché appena una settimana prima dell’anniversario dei trattati di Roma, ha compiuto un anno l’accordo con la Turchia per la gestione dei migranti siriani. Perché nel frattempo si sono concluse le trattative per un accordo simile con la Libia. Perché l’Unione Europea si è costituita attraverso molti trattati, non solo quelli economici del 25 marzo 1957, che includono tra i suoi valori fondanti la tutela dei Diritti Fondamentali dell’uomo. Dell’uomo, attenzione, non del cittadino. Gli uomini sono tutti. Sono i cittadini europei ma sono anche i migranti, quelli che sono rimasti bloccati a Idomeni e quelli affidati a Erdogan, quelli che ieri sono scesi in piazza a manifestare con i cartelli Not My Europe in mano.
“Non è questa l’Europa che vogliamo – spiega infatti Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia – abbiamo bisogno di un’Europa che recuperi proprio i suoi valori fondanti, che non sono solo quelli di impedire una nuova guerra, che pure è una cosa importantissima, ma di promuovere e proteggere i diritti umani”.
Una delle decisioni più controverse dell’Unione Europea è appunto l’accordo per la gestione dei migranti siriani con la Turchia. Proprio il Parlamento europeo, infatti, il 24 novembre scorso ha votato a larghissima maggioranza una risoluzione in cui chiedeva il congelamento dei negoziati di adesione della Turchia “alla luce delle diffuse violazioni delle libertà fondamentali iniziate in seguito al fallito golpe”. Per quanto un Paese in cui si verificano diffuse violazione delle libertà fondamentali non sembri esattamente coincidere con il perfetto arbitro cui affidare l’applicazione del diritto d’asilo, la risoluzione del Parlamento non ha portato ad alcuna revisione del trattato, che viene anzi assunto come modello per ulteriori accordi. “È trascorso un anno da quell’accordo – ricorda Noury – che Amnesty continua a giudicare illegale, irresponsabile e un colpo al diritto d’asilo in Europa. E quel che è peggio è che quell’accordo anziché essere annullato viene visto come un modello per altri accordi del genere, che hanno quell’unico obiettivo che ormai conosciamo bene: fermare le partenze a tutti i costi. Quando dico costi intendo sia la sofferenza e i diritti delle persone sia i costi economici dei soldi che vengono dati ai Paesi cui si delega questo compito. L’accordo che è stato firmato con la Libia un mese fa, così come altri accordi che sono in vista, hanno esattamente quello stesso obiettivo. Una violazione del diritto d’asilo che viene rivendicata quasi con orgoglio da alcuni leader europei”.
Anna Uras