Solitudine, immagine; malinconia luogo; ispirazione dai grandi francesi fra cui Degas, fino a rivivere queste intense, ma delicate sensazioni con tinte uniche, in posti lontani che saranno straordinariamente vicini. 

L’attesa è terminata e finalmente possiamo godere di una mostra che farà parlare di se. Edward Hopper, quanto mai di moda, attuale e con quella prospettiva che ci porta a inquadrare un vero e proprio “punto di fuga” che costantemente cova dentro lo spirito di ogni sognatore.

Hopper rivive negli occhi di chi lo sa ricercare, in un faro scrostato, in una pianura sconfinata, in una stazione di servizio abbandonata, oppure in una casa con soggetti silenziosi e panorami di contrasto affascinanti, certo per i più “distratti” l’idea che tutto ciò sia negli States aiuta, ma in realtà Hopper è in ogni momento dove la malinconia ti sorprende, quando ti chiedi perchè ti piace, quando gli odori si mescolano e tutto rallenta, non importa un volo transoceanico, per ricercare queste immagini o situazioni, che restano  molto personali, ovviamente l’estetica ne resta soggettiva, l’impatto emotivo è invece quanto mai indiscutibile e totalmente coinvolgente.  

Hopper traduce in immagini sentimenti indescrivibili, con un percorso di formazione alquanto singolare e ispirato, con Hopper si inizierà a parlare di pittura americana, che fino a quel momento era considerata unicamente derivativa e di importazione dall’Europa. 

Edward Hopper, fu incoraggiato sin da bambino a dipingere e da giovane iniziò a frequentare la New York School of Art, diretta da William Merritt Chase, grande studioso dell’impressionismo europeo. Hopper, con queste suggestioni ne volle sapere di più e viaggiò tra Parigi, Londra, Berlino , affascinato dalla malinconia dolce e rallentata, dal particolare, dalla solitudine nell’attesa, risiedendo nel Quartiere Latino di Parigi, passando ore a osservare il lento navigare delle imbarcazioni sulla Senna. Di rientro negli Stati Uniti, provò a tradurre le emozioni nei suoi dipinti, nei suoi disegni, e puntuali arrivarono i primi fallimenti e le critiche negative, la carriera svoltò quando ebbe l’illuminante ispirazione di evitare soggetti “europei” ma mantenendo il clima emotivo, ritrarre soggetti tipici della quotidianità statunitense, da lì fu una crescita continua.

Un’esposizione dove troviamo per la prima volta gli studi, i disegni, comparati alle sue opere, Hopper non aveva un disegno eccessivamente tecnico o accademico, seppure la precisione nelle sue linee fondamentali resta di grande rilievo, troviamo un percorso tematico e cronologico che permette di avvicinarsi alla produzione di Hopper, dalla formazione accademica agli anni in cui studiava a Parigi, fino al periodo “classico” più noto dagli anni ’30 ’40 ’50 per arrivare alle immagini simbolo degli ultimi anni.

Tutte le tecniche adoperate dall’artista vengono prese in esame nel percorso in mostra : Olio, acquerello, incisione e come già accennato importanza al disegno.

Sei le sezioni, le opere del periodo parigino, capolavori come Night Shadows e Evening Wind, mettono in evidenza quelli che sono stati i primi successi, si prosegue con Hopper disegnatore e metodo di lavoro, da Study for gas, Study for girlie show…  Le immagini proseguono evidenziando le figure femminili, donne nude o semisvestite nella quotidianità, intraviste mentre sono affaccendate o contemplative, ricche di poetica e con forte taglio cinematografico. Hopper quasi tralascia (quasi) il panorama metropolitano stereotipato, lui si dedica alla provincia, alla periferia, alle stazioni minuscole e arrugginite o ai negozi dalle vecchie serrande, meravigliose spiagge con cottage “modesti” e soggetti che riflettono, invitando il visitatore a non perdersi ogni piccolo particolare.

Questa territorialità intesa in veste alternativa del “mito americano” che non vedeva gli stereotipi, ma dava risalto alla quotidianità, alla malinconia, alla solitudine, sempre con grande appartenenza in stile States, gli rese grande popolarità, uomo schivo e introverso, diventerà per le sue immagini, ed è tuttora fonte di ispirazione, per il cinema, la letteratura, la poesia, la fotografia…

Con questa mostra Hopper conferma la reale impressione di appartenenza, territorialità e una bellissima estetica, sollecita soprattutto oltre che ad apprezzare i panorami e i soggetti più popolari dell’artista, a farci capire che Hopper è ovunque lo si voglia ricercare, nei nostri posti più magici, quelli che abbiamo più vicino a noi, ma che ci sembrano così “banali”… forse quello che molti troppo frettolosamente scambiano per “banalità” è proprio quell’impalpabile magica indescrivibile sensazione che ha fatto di un grande artista un mito, forse questo è il lascito più importante che ci tramanda Edward Hopper

                                                             William Piana


Ascolta un estratto dell’intervista a Luca Beatrice, co-curatore dell’esposizione