Comunità che chiudono, servizi che non partono, progetti che non decollano: la carenza di figure educative sta diventando una vera e propria emergenza nazionale, in particolare in ambito di prevenzione del disagio minorile, intensificatosi in modo esponenziale in questi due anni di pandemia. E meno male che sua santità il libero mercato dovrebbe essere autonomamente in grado di bilanciare domanda e offerta: qui, a fronte di un aumento indiscutibile della domanda, c’è il crollo dell’offerta.  

La gravità della situazione non è destinata ad attenuarsi nel prossimo futuro, tutt’altro. All’orizzonte, infatti, non si vede alcun segno di ravvedimento da parte di una classe politica che, a parte poche e lodevoli eccezioni, continua a far finta di nulla di fronte a una professione che non di rado assume caratteristiche di vero e proprio sfruttamento.

Gettare alle ortiche ogni velleità di prevenire per medicalizzare il sociale, con l’illusione di gestire con il semplice controllo sanitario fenomeni giovanili dilaganti come le baby gang urbane o gli atti di autolesionismo, che sia questo l’orizzonte cui mira la nostra “avveduta” classe politica? Ma sul banco degli imputati lo stato è in buona compagnia: regioni, università, mondo cooperativo, sindacati, associazioni di categoria, massmedia, l’elenco delle responsabilità è molto lungo.

Abbiamo analizzato cause e responsabilità di un fenomeno che si aggrava di giorno in giorno. L’abbiamo fatto con l’aiuto di Sivio Premoli, professore di Pedagogia generale e sociale presso l’Università Cattolica di Milano e garante dei Diritti per l’Infanzia e l’Adolescenza del comune di Milano e con Silvia Negri, presidente di APP (Associazione Professioni Pedagogiche).