In un rapporto di Medici Senza Frontiere viene denunciato il ritardo con cui l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) prese atto dell’emergenza Ebola in Africa occidentale, dopo aver ignorato i primi appelli lanciati dall’organizzazione non governativa presente sul campo.

Dopo le rivelazioni dell’Associated Press dello scorso 20 marzo, con le quali l’agenzia di stampa accusava l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di aver atteso due mesi prima di dichiarare la diffusione del virus Ebola nell’Africa occidentale un’emergenza sanitaria internazionale, un rapporto diffuso oggi da Medici Senza Frontiere torna a puntare il dito contro la cattiva gestione dell’epidemia da parte dell’Oms. L’organizzazione non governativa, in prima linea nella lotta alla malattia, fa sapere come l’Oms abbia ignorato i propri appelli a intervenire in Africa quando l’epidemia era ancora arginabile, e di essere dunque intervenuta con colpevole ritardo per fronteggiare l’emergenza Ebola. Un’inazione costata molte vite.

L’appello a intervenire non è stato accolto con tempestività da quelle agenzie internazionali come l’Oms che dovrebbero essere preposte a intervenire in questi casi – spiega Roberto Scaini, operatore sanitario di Msf – e quindi ci siamo trovati nel periodo da fine a luglio a inizio settembre in una situazione del tutto ingestibile dalle poche organizzazioni non governative presenti sul campo”. Scaini, che è stato in prima linea a curare i malati in isolamento nel centro di cura di Msf di Monrovia, in Liberia, uno dei paesi più colpiti dall’epidemia, sottolinea come Medici Senza Frontiere “gestiva il 60% delle migliaia di casi di Ebola presenti nel paese. L’essere da soli e di fronte al non intervento di chi invece doveva intervenire ci ha anche costretto a prendere decisioni moralmente difficili, come il non poter ospitare tutti i pazienti che avrebbero avuto bisogno di cure”.

La gestione di un’epidemia come quella di Ebola, di una portata senza precedenti nella storia recente, è stata di fatto demandata completamente – almeno nei primi mesi – a organizzazioni come Msf e poche altre. “Già ai primi di aprile vi erano casi di Ebola non solo all’interno di alcuni villaggi ai confini tra Guinea, Liberia e Sierra Leone, ma anche nelle capitali di questi Paesi – fa sapere ancora Scaini – questo dava l’idea che la situazione era già fuori controllo perché i malati si trovavano in zone altamente popolate. Già un anno fa eravamo in una condizione di emergenza, aree fortemente abitate erano coinvolte, e si è così arrivati al disastro di luglio e agosto“.

La sensazione è che l’Organizzazione mondiale della sanità si sia “svegliata” soltanto nel momento in cui l’epidemia di Ebola è diventata un affare di portata internazionale, e non più solo una crisi umanitaria circoscritta ad alcuni paesi dell’Africa: “Può essere vista come la solita polemica, ma non è polemica – afferma Scaini – Come operatore umanitario presente sul campo per sei mesi in quelle zone, posso dire che i primi interessi li abbiamo riscontrati quando ci sono stati alcuni pazienti nei paesi occidentali. A quel punto si è cominciato a dire, in maniera molto triste se non addirittura indegna, che forse c’era un problema. L’impressione è che l’interesse dell’Oms sia venuto fuori quando ci sono stati i casi negli Stati Uniti e in Spagna, quando però il problema riguardava i paesi dell’Africa occidentale, fino ad allora indegnamente dimenticati“, conclude Scaini.