Dal pagamento in rubli per la fornitura del gas russo, preteso ieri da Vladimir Putin, alle difficoltà tecniche e politiche che un cambio di Paesi fornitori può incontrare. L’emancipazione dell’Italia dalla dipendenza energetica dalla Russia potrebbe non essere così veloce come l’ha dipinta il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, secondo il quale il nostro Paese entro due mesi dimezzerà i volumi di gas forniti da Mosca. I problemi che stiamo già incontrando sono diversi e a spiegarceli è Francesco Sassi, ricercatore di Rie e dell’Università di Pisa.
Rubli e non solo: i problemi nel percorso di emancipazione della dipendenza energetica
L’annuncio di Putin sulla valuta del pagamento per le forniture di gas, i rubli, ha provocato scossoni sui mercati già pochi minuti dopo la dichiarazione, con un aumento fino al 28% dei prezzi. Al di là di ciò, però, i problemi che questa scelta potrebbe produrre riguarderebbe la valenza stessa dei contratti con Gazprom. «Uno dei criteri stabiliti dai contratti riguarda la valuta di pagamento – osserva Sassi – Se una delle due parti decide unilateralmente di non rispettare quanto concordato, tecnicamente è in dubbio la validità stessa dei contratti».
Invece sul medio termine, cioè di qui al prossimo autunno, i problemi potrebbero arrivare sul programma di stoccaggio dell’80% del gas in Europa, inclusa l’Italia, per il quale il gas russo è ovviamente necessario.
«Noi non possiamo controllare come sarà il prossimo inverno – sottolinea il ricercatore – Questo ci ha graziati perché è stato piuttosto caldo, ma il prossimo potrebbe non essere uguale. Il rischio è di arrivarci con un deficit nello stoccaggio che potrebbe avere un impatto sia sulle imprese che per i cittadini».
Algeria, Libia, Azerbaigian e gli altri: i problemi di approvvigionamento
Sulla rivista Energia, Sassi sta firmando delle analisi che riguarda ciascuno dei Paesi cui si sta rivolgendo l’Italia per ridurre la propria dipendenza energetica dalla Russia, che attualmente si attesta al 40% del gas utilizzato nel nostro Paese.
Per quanto riguarda l’Algeria, che è il secondo Paese da cui importiamo gas, i problemi sono di instabilità per la crisi economica, sociale e politica che lo riguarda. In particolare, «il gas viene sempre più utilizzato come misura di welfare, a basso costo, per il consumo interno e questo comporta una riduzione dei volumi esportati».
L’instabilità è un problema anche per la Libia, verso cui l’Italia ha grandi responsabilità. La guerra civile mai risolta porta grande incertezza anche sulle esportazioni di gas. Oltre a ciò, la Russia è coinvolta nel conflitto, con il sostegno al generale Khalifa Belqasim Haftar, che è l’altro contendente al potere rispetto a quello riconosciuto dall’Occidente.
L’Azerbaigian è un altro Paese a cui guarda l’Italia e che sarebbe anche disponibile ad aumentare le sue forniture, che passano attraverso il gasdotto Tap. «Oggi si parla di un suo raddoppio», evidenzia Sassi. I problemi, però, riguardano i tempi, perché il Paese sarebbe in grado di attivare nuovi giacimenti non prima del 2024, ma anche la collocazione geografica. «Per arrivare da noi il gas azero dovrebbe passare dalla Georgia – ricorda il ricercatore – che ha una situazione simile all’Ucraina, con la Russia che sostiene alcune regioni separatiste».
Un ruolo centrale lo avrebbe anche la Turchia, dove transitano i gasdotti verso l’Europa, la qual cosa conferirebbe ancora una volta una leva e un’arma di ricatto ad Ankara per condizionare le scelte europee in varie materie.
Infine c’è il Qatar, il cui gas può essere esportato attraverso gasiere. Al momento non sembra che il Paese sia disponibile ad aumentare le forniture all’Europa e, oltre a ciò, i problemi che si pongono sono di due ordini: da un lato un problema ambientale, perché il gas liquido è più inquinante di quello che viaggia nei gasdotti e ciò contrasterebbe con gli obiettivi di transizione ecologica europei data la durata dei contratti praticati dal Qatar, dall’altro la questione economica, perché il gas liquido è più costoso.
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