Ad oltre un anno dalla chiusura di cinema, teatri e sale concerti, il mondo dello spettacolo continua drammaticamente a cercare di far sentire la propria voce. E non solo nel nostro Paese: in Francia si è registrata un’ondata di occupazioni di teatri – il conteggio è arrivato a 78 – da parte di lavoratrici e lavoratori del settore che vogliono scongiurare che i loro diritti vengano messi in discussione proprio durante la pandemia.
Anche in Italia si sono registrate alcune occupazioni. In particolare, a Milano lo scorso 27 marzo è stato occupato il Teatro Piccolo, che ben presto si è trasformato in un luogo di elaborazione di una possibile riforma del settore dello spettacolo.

Teatro Piccolo, l’occupazione e la proposta di riforma dello spettacolo

A raccontare ai nostri microfoni l’occupazione del Piccolo sono Monia Giannobile e Rita Pelusio. «Abbiamo scelto di occupare questo teatro perché è simbolicamente al centro d’Europa e nasce come teatro d’Arte per tutti – raccontano – A due ore dall’occupazione è arrivato il direttore Claudio Longhi, con cui ci siamo confrontati, e il teatro è diventato aperto, nel senso che noi siamo qui in accordo con la direzione».
Sono molte le iniziative culturali che si stanno svolgendo dall’occupazione ad oggi, ma molto del lavoro è incentrato anche sull’informazione alle maestranze di quella che è la prima riforma dello spettacolo elaborata da lavoratrici e lavoratori del settore, senza il filtro della politica o del sindacato.

Il progetto di riforma è frutto di un lavoro partecipato, durato un anno, da parte del Coordinamento Spettacolo Lombardia. L’obiettivo è consegnare quanto prodotto nelle mani del ministro della Cultura Dario Franceschini e delle Commissioni di Camera e Senato.
«Noi chiediamo il riconoscimento del lavoratore dello spettacolo che è discontinuo, affinché vada inquadrato nella cassa previdenziale di riferimento», spiegano Pelusio e Giannobile. Il versamento dei contributi e il corretto inquadramento delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo, infatti, rappresentano spesso un vulnus nel settore.

Una richiesta riguarda anche la trasparenza e gli strumenti di comunicazione, come la creazione di uno sportello virtuale che permetta di collocare il lavoratore e la lavoratrice.
Un nodo centrale è quello degli ammortizzatori sociali. La natura discontinua del lavoro dello spettacolo richiede un “reddito di continuità”. «Noi non siamo disoccupati, ma inattivi e non per nostra scelta», osservano le occupanti, sottolineando anche la difficoltà di vedersi remunerato quel tempo di lavoro, come lo studio, la pianificazione di nuovi spettacoli o la formazione.

La responsabilità occupazionale è al centro di un’altra rivendicazione contenuta nel documento. In particolare, il settore dello spettacolo, come altri, è contraddistinto da appalti, subappalti ed esternalizzazioni, in cui il lavoratore o la lavoratrice figura impropriamente come fornitore di servizi. Così come avviene per l’edilizia, la proposta di riforma chiede che venga istituita dall’Inps una “Banca dati appalti” e che chi riceve finanziamenti pubblici sia vincolato ad assumere direttamente i lavoratori o le lavoratrici.

L’occupazione del Teatro Piccolo di Milano è in contatto con le occupazioni francesi. «Loro stanno difendendo ciò che hanno e che viene messo in discussione durante la pandemia – raccontano le intervistate – noi stiamo lottando per avere quello che già loro hanno».
Tra assemblee ed incontri di settore o aperti alla cittadinanza, l’occupazione sta creando dibattito e visibilità ad un mondo messo troppo spesso in secondo piano. «In tutti i giovedì di aprile continueremo a confrontarci con le diverse maestranze sulla bozza di riforma e contiamo di arrivare ad una stesura definitiva a fine mese».

ASCOLTA L’INTERVISTA A MONIA GIANNOBILE E RITA PELUSIO: