Siamo abituate a pensare la scienza e in particolare la biologia come ambiti puramente oggettivi. Alcune filosofe e biologhe femministe ci hanno però dimostrato che non è così affrontando l’argomento da un punto di vista sociologico. Anche quando si parla di scienze dure o mediche le variabili di genere incidono infatti in modo fondante, con risvolti importanti sulla vita quotidiana. Il femminismo cyborg fa coincidere la fiducia nella tecnologia, la criticità nei confronti di una scienza oggettiva e le questioni di genere.

La scienza situata è la base del femminismo cyborg 

Per parlare di scienza in modo critico, bisogna innanzitutto mettere in dubbio il concetto di oggettività. Ilaria Santoemma, dottoranda all’Università Sant’Anna di Pisa lo fa partendo dal contributo di due filosofe: Sandra Harding e Donna Haraway.

La scienza per come la conosciamo oggi è creata da visioni coincidenti con quelle bianche e maschili e per Haraway è tutto tranne che oggettiva. Se l’universalità coincide con il corpo dell’uomo, allora la scienza non può più dirci nulla di oggettivo riguardo ai corpi non biologicamente maschili. Non può perché non esperisce la diversità o la specificità di alcune condizioni. E dunque non ne comprende sino infondo sofferenze e stati. Questo elemento ha i suoi risvolti pratici anche in ambito medico, basti pensare alle malattie che colpiscono solo le donne e i soggetti con vagina. Vulvodinia, endometriosi e fibromialgia sono solo alcuni disturbi ignorati dalla scienza medica e liquidati per secoli con generiche diagnosi di “isterismo” o “stress”. Per questo bisogna ripensarne i confini espandendola ad esperienze che non siano esclusivamente maschili.

Ciò che si evince guardando i dati sulla scienza medica, raccolti in modo agevole da Caroline Criado Perez nel libro “Invisibili”, è che per anni i corpi femminili sono stati ignorati. La “sindrome del bikini” ha fatto in modo che le ricerche sul corpo femminile riguardassero principalmente la salute riproduttiva delle donne, ignorando tutto il resto. 

La variabile di genere però non crea risvolti solo strettamente scientifici, ma anche etici: Angela Balzano sottolinea come il divieto di aborto si inscriva perfettamente in un quadro di crescente medicalizzazione dei corpi. Secondo Balzano, che lo spiega all’interno del libro Per farla finita con la famiglia. Dall’aborto alle parentele postumane, vietare l’aborto permette di riprodurre la bianchezza e cittadini perfettamente aderenti all’idea di stato-nazione. Per questo motivo è importante considerare il motto harawaiano “generare parentele e non bambini o popolazioni”.

Nella sesta puntata di Cronache di rabbia ci si chiede chi dunque chi fa la scienza, per chi la si fa e con che visione progettuale. Per farlo si guarda ai concetti di scienza situata e di cyborg, in modo da ripensare la medicina in un’ottica di genere.

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