Siamo abituate ancora oggi a un’informazione che racconta il mondo islamico sempre da una prospettiva orientalista. In cui l’Occidente, pensato come sede dei valori democratici e morali, fa da modello e dovrebbe fare strada a tutto il resto del mondo. In quest’ottica, di mondo musulmano leggiamo solo con un linguaggio violento ed estremo, che colpevolizza senza conoscere e che non accetta di non sapere. Le donne musulmane in tutto questo, soprattutto se velate, sono il bersaglio perfetto della retorica paternalistica e coloniale dell’Occidente. Da qui parte la resistenza del femminismo islamico. 

Spirito decoloniale: ripensare l’approccio all’Islam

L’attivismo che ha attraversato il mondo arabo conta ormai più di un secolo di storia e ha continuato a farsi avanti con un approccio sempre più intersezionale e una prospettiva decoloniale. E che oltre a dover fare i conti con gli approcci più integralisti della religione si è speso negli anni per combattere la soggezione delle donne nei Paesi del nord Africa colonizzati dagli europei.

Ancora oggi, portando avanti l’eredità di alcune delle femministe che più hanno lasciato un contributo alla causa, come Fatema Mernissi o Nawal El Saadawi, combattono le frange più intransigenti delle loro comunità, proponendo nuove riletture dei testi dell’islam ma anche una reinterpretazione critica di alcuni aspetti della tradizione culturale islamica.

Per parlare del lavoro svolto anche in Italia abbiamo intervistato Sveva Basirah Balzini, attivista, femminista islamica, fondatorə della community “Sono l’unica mia” e di Al-Kawthar, la prima moschea virtuale femminista in lingua italiana.

Partendo da alcune recenti pronunce delle corti europee, che hanno stabilito il divieto di indossare il velo negli uffici governativi di Bruxelles, Balzini ci racconta del valore assunto dal velo, di quanto sia ormai percepito come atto estremo e politico. Negli ultimi vent’anni è diventato oggetto di diatriba politica, infiammando anche gli esponenti più dichiaratamente maschilisti. Le donne musulmane nei media vengono ancora troppo spesso raccontate come incapaci di autodeterminarsi, non padrone delle proprie scelte, ma ancora vittime. Le domande sul velo e sulla fede partono sempre da un sottointeso non neutrale, che non corrisponde mai al tono delle stesse poste a donne di altre fedi religiose. 

Il femminismo islamico, che nell’esperienza di Balzini procede a stretto contatto con una prospettiva intersezionale decoloniale e queer, combatte da decenni questi giudizi islamofobi con una resistenza che si esprime anche attraverso il lavoro di cura. Un aspetto che la fede islamica fa proprio intervenendo anche sulle nuove generazioni di musulmani, nell’eventualità che alcune rigidità siano frutto di situazioni di abuso spirituale o di retoriche interiorizzate in famiglia. 

La settima puntata di Cronache di Rabbia indaga il legame tra femminismo islamico e informazione, approfondendo alcune delle dinamiche islamofobe radicate nel modo in cui raccontiamo le donne musulmane.

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