Dopo il fallimento di Svb e le difficoltà di Credit Suisse, le turbolenze nel mondo finanziario non sembrano finite. L’acquisizione da parte di Ubs del colosso elvetico non sembra aver placato le preoccupazioni dei mercati e oggi i titoli delle due banche svizzere stanno sprofondando in borsa, dove tutto il comparto bancario appare in grande sofferenza.
Nonostante le rassicurazioni arrivate dagli Stati Uniti e poi anche dal commissario europeo Paolo Gentiloni, a preoccupare è il possibile rischio contagio di altri istituti di credito, con un domino di crisi bancarie che riapre lo spettro del 2008.

Crisi banche, una crisi di fiducia e di reputazione

Per l’economista Andrea Baranes, analista della Fondazione Finanza Etica, ad accomunare Svb e Credit Suisse è stata una crisi di fiducia e di reputazione che ha generato il problema. «Nel caso di Credit Suisse è bastata la notizia del maggior azionista, il presidente della Saudi National Bank, che diceva che avrebbe iniettato nuovo capitale se fosse stata necessaria una nuova capitalizzazione, per scatenare un circolo vizioso tra fiducia e deflusso di capitali», osserva Baranes.

In particolare, ciò a cui abbiamo assistito è ciò che in inglese viene definito “Bank run“, cioè un panico bancario che porta i correntisti di una banca, alla notizia che potrebbe fallire, a ritirare nel più breve tempo possibile i propri soldi, generando una crisi di liquidità. «In questo modo, anche se la banca non era in difficoltà prima, va in difficoltà – spiega l’economista – anche perché tutte le banche hanno strutturalmente il problema che tutti coloro che aprono il conto corrente possono chiedere i soldi indietro, mentre se la banca eroga un mutuo non può andare dal mutuatario a chiedere di pagare immediatamente l’intero valore».

Rischio contagio e salvataggi pubblici sono ancora scenari possibili

Le istituzioni statunitensi ed europee si sono affrettate a dire che al momento non si corre un rischio contagio che generi un effetto domino per altre banche. Ma è davvero così?
«È vero che la situazione è completamente diversa da quella del 2008 con la Lehman’s Brothers ed è vero che in questo momento sono dei casi circoscritti – evidenzia Baranes – però è anche vero che il sistema bancario è estremamente interconnesso. Tutte le banche si scambiano soldi e titoli continuamente e se a un certo punto le banche iniziano a dire “io non mi fido più di te e non faccio circolare liquidità in questo sistema”, i problemi possono diffondersi abbastanza rapidamente».

Quello che stanno cercando di fare le autorità in questo momento, quindi, è ricostruire la fiducia verso il sistema bancario. Impresa ardua visto che in vent’anni questa fiducia è ai minimi visto quello che abbiamo vissuto dal 2008.
«La finanza ci ha abituati a comportamenti che dire negativi è un eufemismo – sottolinea l’economista – e ogni volta le autorità di vigilanza, gli Stati e le Banche centrali devono mettere le toppe sia in termini finanziari, che da un punto di vista reputazionale».

Ecco perché i salvataggi pubblici nel caso di crisi di altre banche sono ancora uno scenario possibile. «È possibile perché di fatto non è cambiato nulla – osserva Baranes – All’indomani del 2008 tutto il mondo politico e istituzionale era impegnato a dire mai più un disastro del genere, ma in termini di regole la montagna non ha partorito nemmeno il proverbiale topolino. La finanza è ripartita come e peggio di prima. Se guardiamo i derivati, la speculazione, i paradisi fiscali e le cridi di instabilità, non è cambiato nulla e ci troviamo per l’ennesima volta nella situazione in cui, quando c’è una crisi devono intervenire gli Stati e le autorità di vigilanza».
In altre parole, siamo ancora nella situazione in cui quando le cose vanno bene i profitti sono privati, mentre quando il giocattolo si rompe le perdite vengono socializzate.

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