Comincerà il 6 novembre e proseguirà fino al 18, a Sharm el Sheik in Egitto, Cop27, la conferenza internazionale sul clima. E comincerà con la constatazione che i grandi della Terra non stanno facendo nulla contro la crisi climatica, come ha sottolineato il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, constatando che le emissioni climalteranti continuano ad aumentare invece che essere tagliate, come promesso.
La sfiducia investe anche le associazioni ecologiste, ma accanto a questa si aggiunge un ulteriore tema: il mancato rispetto dei diritti umani nel Paese che ospita la conferenza. È per questo che Greta Thunberg e altri attivisti e realtà associative diserteranno l’appuntamento.

Crisi climatica, Fridays for Future guarda a Cop27 con disillusione

«Non ho aspettative, ma sono già deluso». Giovanni Mori di Fridays for Future Italia prende a prestito una frase del telefilm Malcolm per descrivere l’atteggiamento nei confronti di Cop27. In particolare perché le nazioni più sviluppate continuano a fare grandi promesse per il contrasto alla crisi climatica, ma a fare molto poco.
Per l’attivista, però, è importante che questo tipo di conferenze continuino a svolgersi, anche perché per piccole nazioni e realtà – le cosiddette Mapa (Most Affected People and Areas) – che subiscono già gli effetti dei cambiamenti climatici la conferenza sul clima è una delle pochi palcoscenici.

La consapevolezza di Fridays for Future, però, è che tanto Cop27 quanto quelle precedenti e quelle che verranno non sono i luoghi dove si risolverà la crisi climatica. «Questi incontri servono a prendere atto del punto a cui sono arrivate le politiche nazionali – osserva Mori – Non è lì che si risolvono le cose, ma si devono fare i compiti a casa e poi li si portano là».
E spesso per fare i compiti a casa, i governi hanno “bisogno” delle pressioni esercitate da attiviste e attivisti che scendono in piazza.

Diritti umani e crisi climatica non sono scollegati

La problematicità di Cop27 è incarnata anche molto bene dal Paese in cui si svolge, l’Egitto. «È uno dei palcoscenici peggiori – sottolinea l’attivista – sia perché l’Egitto esporta molti combustibili fossili, sia perché ci sono 60mila prigionieri politici. In questi giorni ci domandavamo: è necessaria la libertà di parola per avere giustizia climatica? Noi pensiamo di sì».
L’Egitto di Al Sisi, al contrario, è un posto in cui la libertà di parola, di studio e di ricerca viene soffocata, come dimostrano i casi di Giulio Regeni e di Patrick Zaki.

Alla stessa Cop27 è stata creata quella che Mori definisce «una finta piazza, metà nel deserto, dietro l’autostrada», dove si potrà manifestare. In altre parole, non c’è vero spazio per il dissenso.
Diritti e giustizia ambientale, però, per Fridays for Future non sono scollegati, anzi. Uno dei nodi della conferenza è rappresentato dai fondi “loss and damage”. «I risarcimenti a chi si ritrova i danni dei cambiamenti in casa a chi tocca pagarli? A chi ha rotto il clima – evidenzia Mori – È un tema di diseguaglianza a livello globale perché il clima sta diventando la nuova piattaforma da cui far partire tutti gli altri temi perché parla di disuguaglianze e di sfruttamento e i nodi stanno venendo al pettine».

L’Italia non sta facendo i compiti a casa

Secondo l’agenzia Reuters, l’Italia sarebbe pronta ad abbandonare gli impegni presi sullo stop ai combustibili fossili. In particolare, il nostro Paese starebbe abbandonando il gruppo “Export Finance for Future“, composto da altri 10 nazioni europee che hanno firmato un accordo per porre fine al commercio e al finanziamento pubblico dei combustibili fossili.
Ancor più nel dettaglio, Roma avrebbe chiesto di rimuovere dall’accordo l’elenco specifico di quali attività, legate ai combustibili fossili, avrebbero perso il supporto pubblico.

Ma il problema non riguarda solo l’attuale governo. Anche il precedente, guidato da Mario Draghi, ha adottato strategie per fronteggiare la crisi energetica che restano nel solco della crisi climatica. In particolare, di fronte al taglio al gas russo, il nostro Paese ha semplicemente cercato altri fornitori.
«È ancora più assurdo di fronte alla crisi energetica come non si voglia cambiare dipendenza – osserva Mori – Si sta scegliendo di non andare verso la soluzione migliore dal punto di vista ambientale, visto che le energie rinnovabili riducono le emissioni, dal punto di vista strategico e geopolitico, perché nessuno può chiudere i rubinetti del sole e del vento, ma anche dal punto di vista economico, perché le rinnovabili creano più posti di lavoro».

ASCOLTA L’INTERVISTA A GIOVANNI MORI: