Franco Ferroni del Wwf sfata alcuni luoghi comuni sull’allarme cinghiali che riempie le pagine dei giornali di questa estate. Non si tratta di un’emergenza, ma di un problema cronico, creato dall’uomo, che non si può risolvere con piani di abbattimento gestiti dai cacciatori, ma con il coinvolgimento degli agricoltori. Ecco la spiegazione e consigli utili per gli escursionisti.
Cinghiali: Franco Ferroni dice no all’abbattimento
Un uomo è morto in Sicilia perché tentava di difendere il proprio cane dall’attacco di un cinghiale. Altri hanno perso la vita a Firenze perché scontratisi con la propria auto contro un ungulato. Alcune associazioni parlano di vera e propria emergenza.
La stampa italiana, in questa estate 2015, sta calcando molto la mano sul problema rappresentato dai cinghiali, creando allarmismo come se fossimo realmente minacciati da un’invasione di feroci maiali selvatici.
Quella della popolazione fuori controllo dei cinghiali è davvero un’emergenza? A non essere d’accordo è Franco Ferroni, responsabile policy biodiversità, aree protette e politiche agricole del Wwf Italia.
“Non penso si possa parlare di un’emergenza, visto che è un problema che esiste da quarant’anni”, osserva Ferroni, che ne ricostruisce poi la genesi. All’inizio del secolo scorso la popolazione dei cinghiali in Italia era molto limitata, ridotta a poche zone della Maremma toscana. Tutto è cambiato quando, una cinquantina di anni fa, avvennero delle immissioni di animali provenienti dall’est a scopo venatorio. “La specie è la stessa del cinghiale italiano – spiega l’esponente del Wwf – ma erano diverse alcune caratteristiche, come le dimensioni e la fertilità”.
Negli stessi anni, l’unico predatore del cinghiale, ovvero il lupo, era quasi estinto. Oggi la popolazione di quest’ultimo è cresciuta grazie proprio ad un’ingente presenza di cinghiali. In ogni caso, i 1500 lupi presenti sul suolo italiano non sono in grado di tenere sotto controllo il proliferare del cinghiale, che ha un tasso di riproduzione che va dal 100 al 200% ogni anno.
Un errore umano, dunque, quello che ha portato ai problemi attuali, come i rischi per la biodiversità, visto che i cinghiali sono onnivori, e i danni all’agricoltura.
Un problema che, secondo il Wwf, per essere affrontato deve prima essere studiato. Fa infatti strano pensare che non esista un reale censimento della popolazione di cinghiali presente in Italia. “Ciò – spiega Ferroni – è dovuto al fatto che le competenze sono parcellizzate tra vari enti e, soprattutto, che essi non sono in rete tra loro”. Un censimento, secondo l’esperto, sarebbe importante non solo per sapere il numero di cinghiali, ma anche per analizzare la struttura famigliare dei branchi, in particolar modo a quanto ammonta la presenza di femmine fertili.
Solo attraverso il censimento, per l’associazione animalista, si può predisporre un piano di controllo serio, cosa che non è garantito dall’attuale attività venatoria, sia perché i cacciatori non hanno alcun interesse a ridurre la presenza di cinghiali sul territori, sia perché le tecniche di caccia utilizzate, in particolar modo la “braccata”, rischiano di peggiorare la situazione.
“Con metodi come la braccata – osserva Ferroni – si provoca spesso la dispersione del nucleo famigliare dei cinghiali, i quali cercheranno di ricomporne un altro e di sopperire alla perdita”. In altre parole, disperdendo le femmine di una stessa famiglia, queste tenteranno di comporne un’altra aumentando ancora di più la popolazione.
La soluzione al problema, quindi, non passa attraverso le carabine dei cacciatori. “L’unico sistema efficace è quello di catturare interi nuclei famigliari e questo può avvenire attraverso i ‘corral‘, recinti elettrificati in cui attirare le intere famiglie di cinghiali nei periodi di maggiore scarsità di cibo. In questo modo si può ridurre la popolazione di cinghiali senza stravolgerne la dinamica”.
Per fare questo, però, occorre la collaborazione degli agricoltori, che sono gli unici ad avere le competenze e i terreni per attuare questa strategia.
Gli agricoltori, inoltre, avrebbero tutti gli interessi per mettere in atto una soluzione di questo tipo, dal momento che sono le vittime dei danni provocati proprio dai cinghiali. “Inoltre – spiega Ferroni – si potrebbe trasformare quello che oggi è un problema in un’opportunità di integrazione al reddito degli agricoltori“.
Un’ipotesi che però necessità alcune modifiche legislative, tra cui quella che riguarda la proprietà della fauna selvatica, attualmente dello Stato e cedibile solo ai cacciatori con lincenza. Ma c’è anche la questione dei pochi mattatoi autorizzare sia fauna domestica che selvatica e il nodo dei costi per la costruzione dei recinti.
Per questo motivo, il Wwf chiede l’intervento del governo. Solo a livello centrale, infatti, si può predisporre una soluzione che coinvolga gli allevatori e affronti in modo organico il problema. Avere lasciato alle Regioni la competenza in questi anni, secondo Ferroni, non ha portato ad individuare soluzioni, perché i cacciatori pesano elettoralmente ed hanno una lobby molto potente.
Quanto ai rischi per gli escursionisti, l’esperto dà qualche suggerimento: “Occorre lasciare una via di fuga agli animali, che spesso si radunano in branchi molto numerosi. In caso di presenza di cuccioli, le femmine diventano molto aggressive, ma non bisogna farsi prendere dal panico e scappare o agitare le braccia, per non indurre negli animali una reazione di difesa”. Ciò che occorre fare, spiega l’esponente del Wwf, è arretrare lentamente, camminando all’indietro senza perdere il contatto visivo, ma senza fissare negli occhi gli animali (viene letto come un segnale di sfida). Usciti dalla zona che dagli animali viene percepita di pericolo, saranno questi ad andarsene spontaneamente.