Storica sentenza del Tribunale di Crotone sulla protesta dei migranti del Centro di Identificazione ed Espulsione di Isola Capo Rizzuto. Le condizione del centro e l’illegittimità del trattenimento sono una violazione della dignità umana: la reazione è stata proporzionata.

Barricati sul tetto per una settimana dopo aver dato alle fiamme materassi e distrutto mobilie e grate: così la rivolta al Cie di Isola Capo Rizzuto passava alla cronaca come una delle tante che ormai a scadenza regolare infiammano centri sparsi nella nostra penisola.
Ma dopo il provvedimento del Giudice del Tribunale di Crotone emesso lo scorso 12 dicembre quella rivolta verrà ricordata diversamente.
Non sono infatti i tanti rapporti delle organizzazioni umanitarie, le relazioni della Commissione Europea o le iniziative dei movimenti a dirlo, ma oggi anche un Giudice ha affermato, in buona sostanza, la disumanità dei Centri di Identificazione ed Espulsione e di conseguenza la legittimità delle proteste e delle rivolte dei cosiddetti “ospiti”.

Si tratta di una decisione emessa dal Giudice nell’ambito del processo in cui tre cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno venivano accusati di danneggiamento e resistenza aggravata. Loro, come moltissimi altri, erano trattenuti in violazione della legge perché l’autorità non aveva rispettato i dettami della Direttiva 115 del 2008 che impone di motivare i provvedimenti di trattenimento e allo stesso tempo di prendere in considerazione l’adozione di misure “graduali” nei confronti di chi si trova in Italia senza un titolo di soggiorno valido. In buona sostanza Questura e Prefettura, come accade nella stragrande maggioranza dei casi e molto spesso anche senza che vengano rispettati i tempi per la convalida della priivazione della libertà personale da parte del Giudice, avevano disposto “in automatico” la detenzione nel Cie.
Privati di uno dei diritti umani fondamentali, la libertà personale, da parte di un apparato dello Stato, gli stranieri hanno dunque agito per difendere questo loro diritto. Questa è in sostanza la conclusione del Giudice che non si è però limitato a prendere in considerazione solamente questo aspetto.

Le condizioni lesive della dignità umana in cui erano costretti a vivere all’interno della struttura di Crotone rappresentano un’ ulteriore violazione dei loro diritti: materassi e coperte sporchi, servizi igienici “luridi”, pasti consumati senza sedie né tavoli, sono condizioni al limite della decenza.
Per questo insomma il Giudice di Crontone ha ritenuto che la reazione dei tre sia stata proporzionata alla violazione subita e che per tutti questi motivi debba essere ascritta nell’ambito della legittima difesa di un bene, quello della libertà personale, che non può essere messo a confronto con i beni che gli stessi avrebbero danneggiato.
La sentenza si pronuncia sulle accuse rivolte nei loro confronti ma apre una voragine sul sistema di detenzione italiano, ordinariamente gestito con provvedimenti illegittimi ed in condizioni di detenzione disumane.