«La nostra scuola ha un grande nome e delle grandi aspettative, ma noi ci sentiamo oppressi da queste aspettative». Sono queste le parole di Viola, studentessa del Liceo Copernico di Bologna ed esponente del collettivo Osa, che forse meglio rappresentano il sentimento che ha portato lei e i suoi compagni ad occupare l’istituto. Le occupazioni scolastiche sono riesplose in città, dal momento che questa settimana, assieme al Copernico, hanno occupato anche il liceo Sabin e il liceo Minghetti.
A colpire è stato soprattutto il manifesto rivendicativo delle occupazioni, che parla di disagio psicologico e di scuola come “gabbia“.

Occupazioni scolastiche, disagio psicologico e scarsi finanziamenti alla base della protesta

«Prima di dare vita alle occupazioni abbiamo dibattuto sui problemi che sentiamo di questo sistema scolastico – racconta la studentessa ai nostri microfoni – E insieme abbiamo capito che viviamo proprio personalmente la scuola come una gabbia, perché ci va veramente tanto stretta e sentiamo il bisogno di evadere».
Un’evasione, però, che riguarda il preciso modo in cui è organizzato oggi il sistema scolastico, il larga parte piegato all’aziendalizzazione. «I finanziamenti della nostra scuola arrivano al 60% da privati – afferma Viola – Il governo lascia che siano i privati a finanziarci e dà all’industria bellica i soldi che dovrebbe dare alle scuole».

Al centro di questo processo di aziendalizzazione, ovviamente, c’è anche l’ex-alternanza scuola-lavoro, ora Pcto. Per gli occupanti questo sistema divide gli istituti scolastici in scuole di serie A e serie B: da una parte i licei del centro, dall’altra istituti tecnici e professionali nelle periferie. «Noi siamo considerati una scuola di serie A, quindi a noi non tocca – sottolinea la studentessa – ma i nostri compagni sono costretti a lavorare in fabbrica. Abbiamo notato una dinamica anche giovanile di sfruttati e sfruttatori. Questa occupazione è anche per continuare la lotta di Lorenzo, Giuseppe e Giuliano, studenti morti durante uno stage di Pcto».

Se la scuola è vissuta come una gabbia è anche a causa del disagio psicologico, che gli stessi occupanti introducono tra le rivendicazioni. Le statistiche post-pandemia che riguardano la salute mentale degli adolescenti, del resto, presentano dati allarmanti, con un aumento del 30% dell’autolesionismo, un boom delle richiesta d’aiuto e l’aumento di stati ansiosi e depressivi.
«Anche in questo caso torniamo al nodo dei finanziamenti – osserva la studentessa – perché se è vero che è stato introdotto lo psicologo scolastico, è anche vero che per i pochi fondi se va bene lo vediamo una volta ogni tre mesi».

Le cause di questo disagio vengono sintetizzate, nel comunicato, con l’individualizzazione degli studenti, la competizione costante, lo stress, le frequenti valutazioni, i voti, la bocciatura per chi non può permettersi il costo delle ripetizioni a casa, l’umiliazione e l’isolamento degli ultimi e la mancanza di inclusività reale. Un senso di oppressione dunque, che le aspettative sugli studenti e sulle loro performance generano in loro.

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