Il metro per misurare il clamore dell’elezione di Elly Schlein a segretaria del Pd sta nei titoli dei quotidiani di destra, che prefigurano scenari da dittatura del proletariato. Parafrasando una celebre pagina Facebook, ci troviamo in presenza di “Cose che la destra dice che sarebbe una figata se fossero vere”. E viene da chiedersi: se, in Italia, la sinistra non è più una strada praticabile e vincente, perché la destra attacca invece di gioire?

La “borghesia istruita” che ha votato Elly Schlein e lo sguardo rivolto agli astenuti

Schlein, tuttavia, non è comunista, quindi questo spauracchio può essere tranquillamente archiviato. Resta da capire a quale elettorato parlerà, quali interessi vuole rappresentare e, per questa operazione, è utile partire da chi l’ha votata.
In questo compito ci aiuta Massimo Alberti, giornalista di Radio Popolare, che cuce insieme alcune analisi prodotte fino a qui e disegna un quadro più completo.

Il tema è lo stesso che abbiamo registrato nelle elezioni “vere”, incluse le ultime regionali in Lombardia. Nel voto che ha confermato Attilio Fontana alla guida della Regione si è registrato un boom di astensionismo e da un’analisi socio-economica è emerso che la partecipazione al voto è inversamente proporzionale al reddito: più si è poveri, meno si vota.
Lo stesso schema, per Alberti, si può riscontrare nel voto alle primarie che ha portato alla vittoria di Schlein. Come ha osservato Simone Fana, la neosegretaria del Pd ha potuto avvalersi del voto «di un pezzo di borghesia istruita, concentrato nel centro-nord e nelle aree urbane».

«Schlein sembra essere piuttosto consapevole di questo limite, almeno da quello che dice – osserva il giornalista – Nel primo discorso ha sottolineato l’aspetto relativo all’astensione come direttamente proporzionale al reddito, individuando questo pezzo di società come punto di riferimento con cui provare a parlare per cercare di allargare la propria base e il proprio consenso».
Se questa consapevolezza è stata manifestata, il primo punto è verificare se si tratta di retorica, mentre il secondo consiste nel verificare se e come il Pd guidato da Schlein riuscirà a parlare con questa fascia sociale.

Sul versante culturale, infatti, lo stesso Pd ha colpevolizzato il ceto tagliato fuori dal benessere. «Fin qui il Pd è stato il partito della pacificazione dei conflitti sociali – constata Alberti – Cambierà, ad esempio, questo aspetto? Sarà un partito che di fronte ai conflitti, anche minoritari, che esistono e continueranno nella società, si porrà in modo diverso? E riuscirà a farlo senza spaventare la propria base?».

Finora Schlein è riuscita nell’operazione di frattura su due linee, quella generazionale e quella di genere. Ma anche la sua avversaria, Giorgia Meloni, è giovane e donna.
«In questo la loro riconoscibilità verso un elettorato più vasto passerà anche dalla loro estrazione sociale – osserva il giornalista – Ma ci sono anche dei rischi. Schlein ha spostato di molto il discorso a sinistra all’interno del Pd. Se a questo non corrisponderà la sostanza, probabilmente avremo chiuso a ogni ordine e grado a sinistra, perché la credibilità di quelle parole nel discorso pubblico sarebbe ridotta a zero».

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