Il 17 febbraio di cento anni fa nasceva Mario Lodi, maestro, pedagogista e scrittore che ha ridisegnato il valore educativo della scuola, mettendone in discussione molte delle metodologie utilizzate.
Numerose sono le iniziative organizzate per ricordare la figura del maestro cremonese, scomparso nel 2014. Per l’occasione si è costituito anche un comitato, che ha realizzato il sito “Centenario Mario Lodi” e che coordina gli appuntamenti sul tema. Anche l’Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa (Indire), collabora fattivamente al ricordo di Lodi.
Mario Lodi e la cooperazione educativa: un’antitesi alla scuola-azienda
Proprio in un contributo realizzato da Indire, il pedagogista, amico e collaboratore di Lodi Francesco Tonucci parla del maestro e ne racconta il pensiero che ha profondamente segnato la pedagogia.
«Mario Lodi è stato il maestro che dovrebbero essere tutti i maestri, non è stato il maestro eccezionale – osserva Tonucci – È stato contento di essere un maestro, ha avuto degli alunni che erano contenti di essere suoi alunni e di andare a scuola e delle famiglie che sono state riconoscenti al maestro dei loro figli». Tonucci aggiunge che il diritto allo studio non è avere il diritto ad un banco, ad una scuola fatta bene o a dei libri di testo gratuiti, ma prima di tutto il diritto ad avere un buon maestro.
Per far comprendere meglio la visione di Lodi, che poi diventerà il perno del Movimento per la Cooperazione Educativa, Tonucci ricostruisce un episodio.
«Nell’ultimo ciclo scolastico nella seconda metà degli ’70 – racconta il pedagogista – dopo una settimana di scuola Mario Lodi scrive alle famiglie e dice: “Dopo una settimana passata coi bambini posso affermare che essi sono tutti di normale intelligenza, pur rilevando evidenti differenziazioni di carattere e diversi livelli di maturazione dovuti in gran parte alle situazioni ambientali in cui ogni bambino è cresciuto. Tutti i bambini quindi, salvo imprevedibili fatti di eccezionale gratità, sono promossi sin da ora alla quinta elementare, con la garanzia del raggiungimento della preparazione minima richiesta dai programmi scolastici. Se questo non si verificherà la responsabilità sarà del maestro per non aver messo in atto le tecniche educative adatte per sviluppare al massimo le attitudini naturali e l’intelligenza del bambino“».
Una presa di posizione forte, quella di Lodi, che ribalta il giudizio che la scuola dà solitamente all’alunno, trasferendola invece sul maestro.
«Questo è un buon maestro – sottolinea Tonucci – si assume le sue responsabilità. Il suo obiettivo è promuovere, nel senso di far crescere. Un’idea contraria all’idea di modificare o di costruire».
Per spiegare ulteriormente, Tonucci usa la metafora dell’artigiano o del coltivatore. In particolare, la scuola non è un artigiano che modella un materiale inerte e ne fa dei manufatti da giudicare o scartare, ma è piuttosto un coltivatore, che non può modificare il seme, ma può concorrere a farlo crescere.
Un concetto che, nella sua attività, Lodi ribadisce in molti modi, ad esempio sostenendo che il bambino non è proprietà né della famiglia, né della scuola, né della società.
Un’idea che sembra distante anni luce da quello che è la scuola oggi e dalle direzioni che la politica sembra volerle fare prendere attraverso le molteplici riforme degli ultimi decenni. Una scuola sempre più finalizzata alla collocazione dei giovani nel mercato del lavoro, con un classismo nemmeno troppo latente che differenzia gli studenti in base all’indirizzo scolastico che prendono e che ne condizionerà molto probabilmente la vita.
Una scuola dove sussistono interessi privati, dove le aziende finanziano laboratori o attingono a manodopera gratuita con l’alternanza scuola lavoro. In definitiva quella che viene definita la scuola-azienda.
«La scuola di tutti i giorni – evidenzia Tonucci – è una scuola nella quale i bambini e gli adolescenti vivono male. Nel migliore dei casi si annoiano, spesso si ammalano, perché ci sono malattie provocate dalla scuola, come mal di testa, mal di pancia e febbri. Ci sono i disturbi dell’attenzione, che sono una patologia scolastica. Ed è una scuola che fa male agli insegnanti, paradossalmente, perché in maniera sorprendente la professione docente è una delle professioni che ha più patologie professionali».
A cento anni dalla nascita, dunque, il messaggio di Lodi sull’educazione intesa come sviluppo della persona e non ad uso e consumo della società, rimane estremamente attuale.
ASCOLTA LE PAROLE DI FRANCESCO TONUCCI: