Incalzato dalle parti sociali che denunciano l’impoverimento causato dal carovita, trainato da rincari energetici mostruosi, il governo Draghi ha rinnovato per altri mesi il taglio delle accise su diesel e benzina. Ma è un’altra misura che fa discutere in questi giorni: il Bonus 200 euro.
Si tratta di un contributo una tantum che arriverà direttamente in busta paga a giugno a coloro che percepiscono un reddito annuo lordo inferiore a 35mila euro. Una misura contrastata da Confindustria, ma che lascia perplessi anche molti sindacati.

Bonus 200 euro, non basta per il carovita ed esclude i precari

Ad aprile l’inflazione ha raggiunto un tasso mai visto negli ultimi decenni, raggiungendo il 7,5% nell’eurozona. Le bollette energetiche, soprattutto quelle per il riscaldamento, sono state autentiche sberle per le famiglie italiane, con costi raddoppiati o anche triplicati. La guerra in Ucraina e la contesa sul gas russo non sono le uniche cause e in ogni caso le multinazionali energetiche, come Eni, registrano profitti stellari.
A cascata sono aumentati i prezzi di tutti i beni primari, incluso il cibo. Secondo l’Unione Nazionale Consumatori molti beni alimentari hanno registrato un rincaro dell’1,5% su base mensile da marzo ad aprile.

In altre parole le famiglie italiane hanno accusato una significativa perdita di potere d’acquisto, che si somma alle difficoltà già registrate per molti durante la pandemia.
Il governo, all’interno del Decreto Aiuti, dispone ora il Bonus 200 euro che è una misura una tantum che presenta diversi problemi. Anzitutto sembra poca cosa per chi, abituato a bollette energetiche da 2-300 euro, si è confrontato con salassi da 7-900 euro. Più il resto del carovita.
Ma è sulla platea dei destinatari che si registra il solito problema. A beneficiare del Bonus 200 euro, infatti, saranno lavoratori dipendenti e pensionati, mentre per gli autonomi è prevista la creazione di un apposito fondo. Ancora una volta rischiano di restare esclusi i precari, come gli stagionali o gli intermittenti.

«Il giudizio su questa misura non può che essere negativo – afferma ai nostri microfoni Simone Fana, autore di “Basta salari da fame” – Dal punto di vista dell’impatto economico non assorbe nemmeno il 10% della perdita del potere d’acquisto delle persone, dal momento che le associazioni dei consumatori stimano un rincaro medio annuo di 1200 euro».
La critica di Fana, però, è anche culturale: il bonus sembra essere una misura che sostituisce il rinnovo dei contratti nazionali di lavoro, ormai scaduti da anni per la gran parte, attraverso una sorta di mancia una tantum in capo alla generosità del governo. La corretta modalità di approcciare il tema, secondo l’economista, è invece quella di rinnovare i contratti nazionali di lavoro e adeguare gli stipendi di chi lavora al costo della vita, difendendo il potere d’acquisto.

Al contempo è necessario reintrodurre meccanismi di indicizzazione dei salari almeno su base trimestrale. «Si chiamava “Scala Mobile“, ma è stata cancellata trent’anni fa – ricorda Fana – Oltretutto nel rinnovo dei contratti nazionali i costi energetici sono esclusi dal calcolo, per cui il potere d’acquisto dei salari non è mai al passo con il reale costo della vita».
In una situazione di stagflazione come quella che stiamo vivendo, cioè di recessione economica e inflazione, «credo che adeguamenti salariali del genere possano essere positivi anche per l’economia e non solo, ovviamente, per le condizioni di chi lavora».

ASCOLTA L’INTERVISTA A SIMONE FANA: