Il governo ha presentato una proposta di legge che vieterebbe alle aziende italiane di produrre carne coltivata. Un provvedimento che prevederebbe pene di svariate decine di migliaia di euro per chi la produce e la commercializza. Alla base del divieto, secondo le dichiarazioni del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, ci sarebbero rischi di sicurezza alimentare. Dello stesso avviso Coldiretti, l’associazione di agricoltori che più volte la destra al governo ha tenuto come punto di riferimento.
Eppure la carne coltivata rappresenterebbe un’alternativa agli allevamenti intensivi che permetterebbe di ridurre significativamente l’impatto ambientale, oltre ad una scelta etica per il benessere degli animali.

Carne coltivata, i benefici per etica e contro crisi climatica

La carne coltivata è un prodotto alimentare ottenuto a partire da cellule staminali prelevate dagli animali tramite biopsia, poi fatte crescere su un terreno.
«Una procedura tecnologica – spiega per noi Lorenzo Guadagnucci, giornalista e conduttore della trasmissione animalista e antispecista “Restiamo Animali“, in onda sulle nostre frequenze – che non implica alcun coinvolgimento degli animali vivi e che, quindi, permette di saltare tutta la filiera della produzione di carne, salvando gli animali e offrendo, ai consumatori che non possono farne a meno, proteine animali attraverso una modalità che non ha un impatto né su gli esseri senzienti né sull’ambiente».

La filiera dell’allevamento è tra le principali cause dell’inquinamento e del riscaldamento globale. Per produrre un chilo di carne bovina – ad esempio – servono circa quindicimila litri di acqua, da sommare a un quantitativo altrettanto sostanzioso di mangimi per il sostentamento degli animali che, a sua volta, è causa di deforestazione. In Amazzonia, la massiccia deforestazione è dovuta proprio alla produzione di soia destinata ai mangimi animali.

La situazione – vista da una prospettiva animalista e antispecista – dovrebbe essere affrontata in maniera più radicale, con un vero e proprio cambio di paradigma che porterebbe l’uomo a considearsi come un animale, andando così a superare la visione antropocentrica che ha caratterizzato la nostra società fino ad oggi. «Il nostro è un orizzonte diverso – sottolinea Guadagnucci – un cambio di paradigma anche filosofico».
Nonostante questo, la coltivazione di carne, comporterebbe comunque numerosi vantaggi ambientali. Quindi, anche dalla prospettiva dell’animalismo radicale, rappresenterebbe una riduzione del danno, dal momento che verrebbe risparmiata la sofferenza degli animali.

E allora perché il governo è contrario? «Perché la carne coltivata comporterebbe una redistribuzione dei poteri anche economici – continua Guadagnucci – chi oggi controlla la filiera della produzione della carne si troverebbe a dover rivedere le proprie produzioni, ma un governo veramente interessato a intervenire sui cambiamenti climatici dovrebbe correre il rischio di un’opposzione iniziale dei settori che si torverebbero ad affrontare questa transizione».
La posizione del governo, in ogni caso, appare piuttosto anacronistica: «lascia il tempo che trova – conclude il giornalista – se, come credo, attorno alla carne coltivata si svilupperà un processo internazionale, un tentativo quantomeno di favorirla».

ASCOLTA L’INTERVISTA A LORENZO GUADAGNUCCI:

Francesca Ferrara