L’8 e il 9 marzo scorsi nel carcere “Sant’Anna” di Modena si registrarono forti proteste. L’istituto penitenziario fu uno dei primi di una lunga lista in cui i detenuti diedero vita a rivolte a causa dell’emergenza Covid che stava avanzando nel Paese. Le istituzioni imposero restrizioni, ad esempio sulle visite dei famigliari, e non offrirono garanzie alle persone recluse sulla salvaguardia della loro salute.
Alla fine della situazione di caos che si generò il bilancio fu pesante: ben 9 detenuti persero la vita. Le prime versioni ufficiali parlarono di morti per overdose, in quanto alcuni detenuti avrebbero forzato gli armadietti coi medicinali. A distanza di mesi, però, a Modena e in altre carceri italiane sono partite inchieste giudiziarie che hanno lo scopo di far luce su quanto realmente accaduto.
È in questo contesto che, a Modena, è nato il Comitato Giustizia e Verità, che si presenta ufficialmente oggi.

Carcere Modena, il comitato Giustizia e Verità

Le ricostruzioni ufficiali si sono incrinate nel momento in cui 5 detenuti hanno denunciato pestaggi e violenze, al punto che è stato aperto anche un fascicolo per accertare quanto realmente sia accaduto in quelle ore drammatiche.
Tra i punti da chiarire nella vicenda ci sono anche i trasferimenti di quattro detenuti in fin di vita in altri istituti di pena, dove poi hanno trovato la morte. Sono infatti 5 le persone morte direttamente a Modena e 4 quelle che hanno perso la vita nei giorni successivi in altre prigioni.

«L’input per dare vita al comitato è nato in seno al Consiglio Popolare di Modena – racconta ai nostri microfoni Alice, portavoce del comitato – La versione ufficiale non ci convince e, anche prendendola per buona, anche credendo che ci sia stato un suicidio di massa col metadone, in Italia comunque non esiste la pena di morte e rimane in piedi la questione dell’omissione di soccorso».
Il comitato si sta muovendo in diverse direzioni. Da un lato c’è la solidarietà, con la fornitura di pacchi per i detenuti che sono stati trasferiti ed hanno perso i contatti che avevano su Modena. «Abbiamo creato una rete – osserva Alice – perché tutti sappiamo che, se non ricevi i pacchi da famigliari e amici, il carcere non ti passa nulla».

Un’altra attività rilevante prevede la realizzazione di un dossier che metta insieme le informazioni sulla vicenda e raccolta testimonianze, alcune anche inedite. «I cinque detenuti che hanno denunciato le violenze non sono gli unici ad aver raccontato quanto accaduto», osserva l’attivista.
In programma, inoltre, c’è la realizzazione di una grande manifestazione davanti al carcere di Modena, prevista per il 7 di marzo.

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ALICE: