È di 4 morti, 13 feriti e 52 persone arrestate il bilancio dell’irruzione dei sostenitori del presidente statunitense uscente, Donald Trump, a Capitol Hill, la sede del Congresso. Un inedito evento che ha attirato su di sè i riflettori di tutto il mondo e che ha la precisa responsabilità dello stesso Trump, che ha “suggerito” e fomentato i suoi seguaci.
«Non si può propriamente parlare di colpo di Stato – afferma ai nostri microfoni il giornalista Martino Mazzonis, che per Treccani cura l’Atlante Usa 2020 – perché non c’erano strutture organizzate, ma lo stesso Trump, anche nel messaggio in cui diceva ai sostenitori di tornare a casa, ha continuato a dire che le elezioni erano state rubate». Quindi quel che è successo potrebbe essere definito un goffo ed estemporaneo tentativo di golpe.

Capitol Hill, una tensione annunciata e sottovalutata

«Non c’è mai stato dubbio che la certificazione della vittoria di Joe Biden alle elezioni del 3 novembre scorso sarebbe stata messa in crisi dalla strategia di Trump e dei repubblicani – continua il giornalista – ma il Congresso certificherà la vittoria di Joe Biden».
Alla luce di quello che è successo, cioè l’irruzione dei manifestanti a Capitol Hill, nascono perplessità sulla gestione dell’ordine pubblico. A partire dal ruolo delle forze dell’ordine che appare ambiguo.
«Se il tipo di manifestazione fosse stato diverso – sottolinea Mazzonis – probabilmente avremmo molti più morti e avremmo avuto molta più violenza e nessuno sarebbe entrato a Capitol Hill».

Come sia potuto accadere non è ancora chiaro, ma la cosa certa è che ci sia stata una sottovalutazione nella gestione dell’ordine pubblico. «Era una manifestazione di protesta, si temevano scontri di piazza tra antifa e sostenitori di Trump – osserva il giornalista – ma non si pensava di una manifestazione a cui parlava il presidente, quindi una manifestazione del presidente, si sarebbe spinta così in avanti».
È però difficile immaginare che un momento così delicato, preceduto da due mesi di dichiarazioni ed azioni di Trump tese a non riconoscere la vittoria dell’avversario, non fosse stata di interesse per l’intelligence.

I passi indietro dei repubblicani e la possibile destituzione

Mancano 13 giorni al passaggio di consegne ufficiale tra Trump e Biden, previsto per il 20 gennaio. Dopo ciò che è accaduto ieri, però, in molti parlano del 25° emendamento, che permetterebbe la destituzione immediata di Donald Trump. Per ottenerla, però, occorrerebbero i voti anche repubblicani, in particolare quello del vicepresidente Mike Pence, che dovrebbero dichiarare al Congresso che Trump non è in grado di adempiere ai suoi doveri di presidente.
Il gruppo “The Squad”, l’ala sinistra dei democratici di cui fanno parte Alexandria Ocasio-Cortez, Ayanna Pressley, Ilhan Omar e Rashida Tlaib, starebbe scrivendo in queste ore anche una richiesta di impeachment.

Tutte ipotesi per le quali è necessario capire la praticabilità, ma per Mazzonis il dato più interessante è che molti repubblicani stanno abbandonando Trump e la sua strategia. «Anche perché è controproducente persino per lui – commenta il giornalista – ma non sembra in grado di capirlo».
Tra i pochi che sembrano rimanere fedeli al presidente uscente c’è Ted Cruz, senatore del Texas, che insistendo sul sostegno alla folle linea trumpiana rischia di essere messo in un angolo e giocarsi probabilmente anche la carriera politica.

I risvolti sullo scenario geopolitico globale

L’ingloriosa fine di Trump e il clamoroso assalto a Capitol Hill, però, sono elementi che potrebbero giocare un ruolo a livello internazionale, in particolare nella competizione aperta che gli Stati Uniti hanno da un lato con la Russia e dall’altro con la Cina.
«Gli Stati Uniti vogliono essere un modello mondiale di democrazia – sottolinea Mazzonis – ma di fronte ad una scena così caotica diventa difficile dire che il modello in ascesa di Pechino non funziona meglio di quello statunitense, anche per la gestione efficiente della pandemia. Questo è un punto di debolezza della società e della democrazia americana».

Il modello statunitense, dunque, potrebbe avviarsi verso il declino e i colpi di coda della gestione Trump e le forte tensioni sociali che si sono manifestate in questi anni potrebbero esserne sintomi lampanti.
Al nuovo presidente Joe Biden spetterà il principale compito geopolitico di confrontarsi proprio con la Cina.

ASCOLTA L’INTERVISTA A MARTINO MAZZONIS: